Quando la nostra unica bussola orientativa è rappresentata dalla statistica, ed è questo il modo di ragionare degli epidemiologi, anche i nessi semplificati e spesso falsi, divengono importanti, alterando il senso stesso del politically correct.
Politically correct e pandemia
Non mi stupisce la nutrita presenza di persone che provengono da una cultura libertaria, diciamo pure da quella sinistra che Pannella definiva “antropologica” – termine che preferisco di gran lunga al consunto radical chic – nella schiera dei no vax.
Ciò che fa difetto in tale visione del mondo è una sorta di zoom ottico sul particolare, in cui viene escluso il campo lungo, il panorama, dal colpo d’occhio sulle cose; un insieme che per limiti strutturali può essere colto solo dalla sintesi statistica.
In fondo il politically correct è frutto di tale sguardo ravvicinato; ma facciamo un esempio, così che divenga tutto più chiaro.
Le forze di polizia sanno benissimo che le persone giunte nel nostro Paese dalla Nigeria, generano, STATISTICAMENTE, molti più problemi di ordine pubblico di quelle provenienti dal Senegal, al punto che nei controlli si mostrano molto più concessivi verso quest’ultime; e i nigeriani, che saranno forse più caragnotta ma non più scemi, quando fermati senza documenti si dichiarano senegalesi.
Lo stesso per alcuni reati odiosi nei confronti delle donne, che non si verificano con un’incidenza (di nuovo statistica) uguale tra comunità con provenienza geografica diversa.
Certo, ciò non ci autorizza – MAI! – ad affermare che, mettiamo, un rumeno o un marocchino è più versato al crimine; ma negando il nesso tra comportamenti individuali e sostrato sociale e culturale di appartenenza, si alimenta il consenso alle destre; le quali da tale nesso balzano a un’equivalenza meccanica e universale (rumeni e marocchini uguale stupratori), e cioè al razzismo.
Ma vediamo ora come si replica lo stesso schema in rapporto alla pandemia. Ormai l’abbiamo capito: anche una persona trivaccinata può contagiarsi e contagiare, e però in percentuali significativamente ridotte; con calcoli un po’ complessi, si è arrivati a un rapporto di uno a dodici.
Eppure l’argomentare di molti si concentra ancora su questo aspetto: anche i vaccinati contagiano e finiscono in terapia intensiva, che sarebbe come dire che ci sono anche senegalesi stronzi, rumeni a cui non piacciono le donne, marocchini più buoni di Lupo de Lupis e così via. Cosa che per inciso è verissima, non ha senso il concetto di rumeni, di senegalesi, marocchini e neppure di italiani quando entriamo in rapporto con una persona, che rappresenta un’irriducibile singolarità.
Quando la nostra unica bussola orientativa è però rappresentata dalla statistica – ed è questo il modo di ragionare degli investigatori, oppure degli epidemiologi – anche quei nessi rozzi e semplificati e spesso falsi, divengono importanti.
Convivere con la complessità significa ammettere la possibilità di essere derubati da un senegalese e contagiati da una persona vaccinata. Ma il buon senso ci invita a sfuggire l’incremento del rischio, che è come a dire ad alimentare il pregiudizio.
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