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Sono diventati un genere a se stante. Qualcosa che ci accompagna e forse ci perseguita da quarant’anni: non si esce vivi dagli anni 80.
Perseguitati dagli anni 80
Ancora con gli anni ’80, fortissimamente revival, fino allo sfinimento. È materia pop e condizione dell’anima. Qualcosa che ci accompagna e forse ci perseguita da quarant’anni.
Gli anni ’80 hanno costituito una fenomenologia su sè stessi, travalicando la condizione cronologica, come semplice decade all’interno della più grande storia, per divenire sottocultura a sè stante.
Gli anni ’80 durano dagli anni ’80, anzi da prima. E non è un paradosso.
Se pensiamo alla prima cosa che si associa a quegli anni, la musica, c’è da considerare che gli stilemi erano già stati tracciati sul finire degli anni ’70. Le sonorità, i messaggi, il contesto, tutto era già in embrione e dunque il risultato è che le serate a tema ci tormentano da quarant’anni.
Si ballava musica anni ’80, senza saperlo, negli anni ’80. Negli anni ’90 all’inizio c’era un’assoluta continuità, poi lentamente, con l’avvento di MTV, la scoperta del distorsore nella musica pop per sfruttare il fenomeno grunge che allora impazzava, cominciò a diventare nicchia, serata alternative dance a base di sinth e wave.
Col passaggio agli anni 2000 si è entrati direttamente nel revival ma il risultato non cambia: ci sono DJ alternative che continuano a passare la stessa sequenza di canzoni da quarant’anni.
Tainted love-You spin me round- I just can’t get enough
È il richiamo della foresta e ancora ci cadiamo.
Non si esce vivi dagli anni ’80
Non si esce vivi dagli anni ottanta, era una canzone azzeccatissima degli Afterhours, con il titolo più paradigmatico al riguardo che si potesse trovare.
E infatti il culto del ritorno al passato non ha mai smesso di attraversare il nostro tempo. Senza pensare a Mamma Rai, che del culto passatista ne ha fatto un percorso strutturale con il perenne bisogno di raccontare come si stava meglio con Albano e Romina, Pippo Baudo e i Dik Dik.
Ma più in generale, a tutte le latitudini, la televisione, il cinema, la pubblicità, la musica e la moda hanno riportato in auge oggetti e trend che hanno caratterizzato la decade del kitch.

Fenomenologia del revival
Il nostro tempo vive nell’impossibilità di produrre nuovi immaginari. I nuovi artisti sono nient’altro che la somma di fenomeni già vissuti.
Pensiamo ad Achille Lauro, beniamino dei social e della gente che piace. Ad ascoltare il suo repertorio, visionare le sue esibizioni, le sue interpretazioni, il suo look, non c’è nulla che non rimandi a qualcos’altro.
E non perché tutto si somigli ma perché è plateale e palese la citazione: sembra quasi di sentire la voce di Maria De Filippi dietro di lui davanti all’armadio: “Metti quella giacca un po’ alla Renato zero. Quell’occhio lo marcherei alla Bowie. Quel bracciale alla Madonna è perfetto!”
L’icona pop del nostro presente nazional-popolare conferma il tramonto dell’imperativo dell’originalità ad ogni costo, sostituito dalla ricerca rassicurante di qualcosa di assolutamente già visto e sentito.
C’è una scena culturale che sembra aver smarrito non solo l’idea di futuro ma anche la capacità di rinnovare il presente. La cultura del XXI secolo sembra caratterizzata dall’impossibilità del nuovo e alla fine si rimescola il già vissuto, con gli anni ’80 che finiscono per rappresentare involontariamente una delle ultime avanguardie.
Ecco dunque che orde di ragazzi, generazione Netflix, sono presi da Stranger Things e dai richiami eighties che lo attraversano. C’è più in generale un completo smarrimento delle nozioni di tempo e luogo. Gli smartphone ci impegnano costantemente in una dimensione di presenza-assenza, siamo presenti ma altrove.
Il tempo del web è un fuoriorario ossessivo e senza limiti. Nulla muore più, tutto torna su YouTube basta cercare e noi siamo bloccati ossessivamente in una retrospettiva permanente.

Anni 80 in loop
Pac-Man, MTV, i walkman, le compilation sulle cassette Basf, le Tdk da 90 minuti, Robert Smith col rossetto sbavato, gli zombie al centro commerciale, Duran Duran, Ronald Reagan, la morte di Tito, Alì Agca, Video Killed the Radio Star, Madonna Material Girl, i capelli a cocco, i jeans a vita alta, Snake Iena Plissken, Shining.
Cindy Lauper Girls Just Want To Have Fun, la loggia massonica segreta P2 di Licio Gelli, Siouxsie Sioux, Morrisey, Miriam si sveglia a mezzanotte, David Bowie Let’s Dance, il re con la sdraio in mano Enjoy the silence, i Police Every Breath You Take, Blade Runner, E.T, Ritorno al futuro, Prince e Michael Jackson, Dirty Dancing e Flashdance.
La guerra delle Malvinas, Sigonella, Craxi col garofano alla cassa di un supermercato, i Queen I Want To Break free, Mike Bongiorno e la Grappa Bocchino, Arafat che fugge a Tunisi, Sisters of Mercy Temple of love, i funerali di Berlinguer.

We are the world
We are the world, cantavano le superstar riunite nel 1985, ma “Noi non siamo mai stati il mondo, se non nelle nostre illusioni, e non lo saremo mai. Soprattutto dopo gli Anni Ottanta”. (Tommaso Auriemma, Filosofia degli anni ’80)
*Articolo già pubblicato con differente editing il 18 febbraio 2023
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