www.kulturjam.it è un quotidiano online indipendente completamente autofinanziato. Il nostro lavoro di informazione viene costantemente boicottato dagli algoritmi dei social. Per seguirci senza censure, oltre alla ricerca diretta sul nostro sito, iscrivetevi al nostro canale Telegram o alla newsletter settimanale.
Il 4 giugno 1944 – 81 anni fa – le avanguardie americane raggiunsero Roma e la città fu liberata, prima tra le capitali dell’Asse. Due giorni dopo lo sbarco in Normandia all’alba del 6 giugno aprì il ‘secondo fronte’, la svolta nella Seconda Guerra mondiale, attesa da tempo soprattutto in Unione Sovietica su cui era caduto il peso del sacrificio maggiore nel conflitto con perdite catastrofiche subite ma anche inflitte ai tedeschi. Oggi sulla scia della guerra Ucraina, contro la Russia di Putin un tentativo di cancellazione della storia.
4 giugno 1944: la liberazione di Roma e l’ombra lunga dell‘Operazione Barbarossa
Ottantuno anni fa, il 4 giugno 1944, le truppe alleate guidate dagli Stati Uniti entrarono a Roma, liberandola dall’occupazione nazifascista. La capitale italiana fu la prima tra le potenze dell’Asse a cadere in mano nemica, evento cruciale ma spesso oscurato dal fragore dello sbarco in Normandia, che avvenne appena due giorni dopo, il 6 giugno.
Lo sbarco in Normandia — l’apertura del tanto atteso “secondo fronte” — segnò una svolta decisiva nella Seconda Guerra Mondiale. Attesa da anni soprattutto in Unione Sovietica, quell’operazione militare fu il segnale che finalmente anche sul fronte occidentale si combatteva in maniera diretta contro la macchina bellica tedesca.
L’URSS, infatti, reggeva da sola il peso maggiore del conflitto: a partire dall’attacco a sorpresa scatenato da Hitler il 22 giugno 1941 con l’Operazione Barbarossa, il paese fu teatro di una guerra totale, segnata da combattimenti devastanti e dalla sistematica distruzione delle popolazioni civili.
Una guerra di annientamento
Quando la Germania nazista invase l’Unione Sovietica, mobilitò oltre 200 divisioni, più di 3.000 carri armati e 5.000 aerei.
L’attacco, tuttavia, non fu soltanto un’iniziativa tedesca. Fu un’offensiva europea, appoggiata da numerosi alleati, alcuni dei quali antinazisti. Per ragioni ideologiche o geopolitiche, diversi governi e movimenti collaborarono con il Reich. I socialdemocratici del Nord Europa, il Vaticano, i conservatori francesi di Vichy: tutti vedevano nell’Urss il nemico principale.
Sul campo, Hitler poteva contare su un esercito composito e imponente:
– 400.000 finlandesi
– 230.000 italiani
– 280.000 ungheresi
– 530.000 romeni
– 5.400 croati
– 50.000 spagnoli
– 35.000 slovacchi
– 5.000 francesi
– 1.000 portoghesi
– 2.000 svedesi
– 7.000 norvegesi, danesi, belgi e olandesi
In tutto, circa 1.600.000 uomini su 70 divisioni dislocate sul fronte orientale. Tra questi, anche i nazionalisti ucraini, che si resero protagonisti dei primi pogrom contro gli ebrei.
Questo aspetto della guerra — l’attacco europeo all’Urss — è ancora oggi taciuto o minimizzato. Spesso proprio da chi, paradossalmente, sostiene che gli alpini abbiano difeso la nostra libertà “ad oriente”, fingendo di ignorare o conoscere benissimo il contesto.
In questo contesto, l’URSS invocò sin dal 1942 l’apertura di un secondo fronte da parte degli Alleati, allora rappresentati dalla Gran Bretagna e, dal gennaio di quell’anno, anche dagli Stati Uniti. L’idea era alleggerire la pressione tedesca sul fronte orientale, dove i sovietici sostenevano una guerra di logoramento con perdite umane e materiali immani.
Tuttavia, fino al 1944, le operazioni alleate rimasero limitate a teatri secondari come il Nord Africa e l’Italia, e gli aiuti militari, seppur consistenti, non andarono mai oltre il 5% della produzione rispetto al restante 95% di matrice sovietica, e non bastavano a compensare lo squilibrio sul campo.
Da Teheran alla Normandia
Fu solo con la Conferenza di Teheran, tra novembre e dicembre 1943, che i tre grandi — Churchill, Roosevelt e Stalin — si accordarono su operazioni strategiche decisive: l’appoggio ai partigiani di Tito in Jugoslavia, lo sbarco in Francia da realizzare entro la metà del 1944 e l’impegno sovietico a dichiarare guerra al Giappone, cosa che avverrà solo nell’agosto 1945.
Nel frattempo, le truppe sovietiche avevano liberato Kiev (novembre 1943), ma subirono un nuovo contrattacco tedesco che riportò parte dell’Ucraina sotto controllo nazista. In quei mesi, gli Alleati misero in atto una massiccia campagna di disinformazione per confondere i comandi tedeschi circa la vera località dello sbarco, convincendoli a temere attacchi in Grecia o nei Balcani. Ciò contribuì a mantenere il grosso delle forze tedesche concentrate sul fronte orientale.
Il costo della vittoria
Il contributo sovietico alla sconfitta del Terzo Reich fu immenso. Le stime più accreditate parlano di oltre 27 milioni di morti sovietici, di cui circa 12 milioni tra i militari e almeno 15 milioni tra i civili. Il Paese uscì dal conflitto devastato: furono distrutte più di mille città, trentamila fabbriche e decine di migliaia di aziende agricole, mentre le infrastrutture vennero in larga parte rase al suolo. I danni materiali furono calcolati in circa 120 miliardi di dollari dell’epoca — per confronto, l’Inghilterra, duramente colpita dai bombardamenti, ne subì circa un quarto.
Anche la Wehrmacht pagò un prezzo altissimo: delle circa 4 milioni di perdite tedesche nella guerra, ben 3 milioni si registrarono sul fronte orientale. Dopo il D-Day, la liberazione dell’Europa occidentale fu tutt’altro che agevole, ma senza il logoramento provocato dalle battaglie di Mosca, Stalingrado, Kursk e Berlino, gli Alleati avrebbero affrontato ostacoli ben più duri.
Riflessioni per il presente
Nel clima internazionale segnato dalla guerra in Ucraina e dalla retorica antirussa, si assiste oggi a tentativi sempre più frequenti di riscrittura della storia, che tendono a sminuire — o addirittura a cancellare — il ruolo decisivo dell’Unione Sovietica nella sconfitta del nazifascismo.
Ma la memoria storica non può essere piegata alle esigenze del presente geopolitico: ricordare il sacrificio sovietico significa rendere giustizia alla verità dei fatti. E solo su basi di verità si può costruire una memoria condivisa e un futuro di pace.
Sostieni Kulturjam
Kulturjam.it è un quotidiano indipendente senza finanziamenti, completamente gratuito.
I nostri articoli sono gratuiti e lo saranno sempre. Nessun abbonamento.
Se vuoi sostenerci e aiutarci a crescere, nessuna donazione, ma puoi acquistare i nostri gadget.
Sostieni Kulturjam, sostieni l’informazione libera e indipendente.
Leggi anche
- Israele senza maschera: la trasparenza del genocidio
- L’embargo USA contro Cuba: una reliquia della guerra fredda che danneggia solo il popolo
- L’Eternauta: un capolavoro del fumetto e della memoria
- “Israele contro Hamas”: il bestseller perfetto secondo le regole della narrazione
E ti consigliamo
- Shidda
- Noisetuners
- Novecento e oggi
- A sud dell’impero. Breve storia della relazione sino-vietnamita
- Sintropie. Mondo e Nuovo Mondo
- Musikkeller, un luogo-non luogo
- Breve guida per riconoscere il “coatto”
- Achab. Gli occhi di Argo sul carcere
- La terra di Itzamnà: alla scoperta del Guatemala
- Dittature. Tutto quanto fa spettacolo: si può essere ironici su temi serissimi e al contempo fare opera di informazione e presidio della memoria?
- Il soffione boracifero: ritorna dopo 10 anni il romanzo cult
- Cartoline da Salò, nel vortice del presente