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Mentre Gaza brucia e oltre 50 guerre devastano il mondo, i media italiani si concentrano sul caso Garlasco. Una riflessione sull’ipocrisia dell’agenda mediatica che preferisce la cronaca nera alla tragedia globale. L’informazione si fa intrattenimento.
Garlasco contro Gaza. Quando la cronaca nera oscura le guerre: riflessioni sulle priorità dell’informazione
In questi giorni, scrollando i social media o sfogliando i quotidiani, è impossibile non notare un paradosso che dovrebbe farci riflettere. Mentre il mondo brucia sotto il peso di oltre cinquanta conflitti armati attivi, l’attenzione mediatica italiana si concentra massicciamente sulla riapertura delle indagini per l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco diciotto anni fa.
La vicenda della studentessa uccisa nel 2007 nella sua casa, è tornata prepotentemente alla ribalta dopo la decisione della Procura di riaprire le indagini. I trending topics di X (ex Twitter) sono invasi da hashtag dedicati al caso, i talk show televisivi dedicano ore di trasmissione agli sviluppi, i quotidiani riservano ampio spazio nelle prime pagine.
Pur essendo un fenomeno sociale del tutto comprensibile dato che la cronaca nera ha sempre esercitato un fascino particolare sul pubblico (soprattutto quando si tratta di “cold case” che promettono nuove rivelazioni), mi sembra francamente assurdo – con rispetto parlando – che la morbosità su tale caso di cronaca nera possa andare ad annebbiare se non a sostituire quasi totalmente l’attenzione di media e opinione pubblica su quanto di gravissimo sta accadendo al mondo.
Sicuramente il caso Garlasco ha tutti gli ingredienti della perfetta storia mediatica (un crudo omicidio, una vittima giovane e innocente, sospetti mai chiariti completamente, una comunità che non ha mai dimenticato.
È una narrazione che funziona, che genera engagement, che fa discutere) eppure, mentre ci interroghiamo sui misteri di diciotto anni fa, il presente ci urla addosso con una violenza inaudita. Gaza vive sotto le bombe da mesi, con un bilancio di vittime civili che cresce quotidianamente. Le tensioni tra Israele e Iran minacciano di trascinare l’intera regione mediorientale in un conflitto più ampio, con conseguenze geopolitiche che potrebbero toccare anche l’Europa.
Ma non è solo il Medio Oriente a bruciare. Il conflitto russo-ucraino continua a mietere vittime, mentre l’attenzione mediatica su quel fronte si è progressivamente affievolita. In Sudan, un conflitto che ha causato milioni di sfollati riceve appena qualche riga sui quotidiani. Il Myanmar, il Sahel, lo Yemen: sono tutti teatri di guerra di cui sappiamo poco o nulla.
Secondo l’Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED), nel 2024 sono attivi oltre cinquanta conflitti significativi nel mondo, molti dei quali con un impatto umanitario devastante. Eppure questi drammi contemporanei faticano a conquistare l’attenzione che meriterebbero, dato che i media (anche pubblici) tra TG e programmi di approfondimento, pur di seguire le pruriginose morbosità che il delitto di Garlasco suscitano nel pubblico – perlopiù di scarsa scolarizzazione – pongono le drammatiche notizie di carattere internazionale in secondo piano.
Tale squilibrio però non è casuale, ma risponde a logiche precise che governano il mondo dell’informazione. La prossimità geografica e culturale gioca un ruolo fondamentale: Garlasco è in Lombardia, Chiara Poggi potrebbe essere la figlia di chiunque di noi. Gaza è lontana, i suoi abitanti parlano un’altra lingua, vivono in un contesto che percepiamo come “altro”.
C’è poi il fattore della comprensibilità immediata. Un omicidio (e tutti i suoi connotati) è un evento che tutti possono capire istintivamente. I conflitti internazionali sono più complessi, richiedono conoscenze storiche e geopolitiche, non offrono risposte semplici né colpevoli facilmente identificabili e in più generano ansia, per cui si preferisce non sapere.
I social media però, dal canto loro, colpevolmente non fanno altro che amplificare questo fenomeno. Gli algoritmi premiano i contenuti che generano più interazioni, e la cronaca nera garantisce commenti, condivisioni, discussioni accese. Le notizie di guerra, soprattutto se ripetute nel tempo, diventano “rumore di fondo” che non riesce più a bucare lo schermo.
Non si tratta di demonizzare l’interesse per i casi di cronaca o di chiedere che vengano ignorati. La ricerca della verità è sempre legittima, e le famiglie delle vittime hanno diritto di vedere i casi riaperti se emergono nuovi elementi. Il problema è la sproporzione, il modo in cui l’agenda mediatica viene costruita e l’effetto che questo ha sulla percezione collettiva dei problemi del mondo.
I media hanno una responsabilità enorme nel definire ciò di cui si parla e ciò che viene dimenticato. Quando un caso di cronaca nera assorbe gran parte dello spazio informativo, automaticamente altri temi vengono marginalizzati. E quando questi temi riguardano guerre in corso, crisi umanitarie, tensioni internazionali che potrebbero avere conseguenze anche sulla nostra vita quotidiana, la sproporzione diventa problematica.
Non è facile trovare un equilibrio. I media devono rispondere alle esigenze del pubblico, ma hanno anche il dovere di informare sui fatti più rilevanti per la collettività. Forse la soluzione sta nel riconoscere che non tutto ciò che genera interesse merita la stessa attenzione, e che il giornalismo ha anche una funzione educativa: quella di spiegare perché dovremmo preoccuparci di quello che accade dall’altra parte del mondo.
La morte di Chiara Poggi è stata una tragedia che merita giustizia fino in fondo. Ma mentre cerchiamo la verità (seppur in presenza di sentenza definitiva) su un omicidio di diciotto anni fa, non dovremmo dimenticare che ogni giorno, in questo momento, tantissime altre Chiare stanno morendo sotto le bombe in conflitti di cui sappiamo troppo poco.
La vera sfida per l’informazione del futuro sarà riuscire a tenere insieme la cronaca e la storia, il locale e il globale, il passato che chiede giustizia e il presente che chiede attenzione. Solo così potremo dire di aver fatto davvero informazione, e non solo intrattenimento travestito da notizia.
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