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Europeismo demenziale: il caso Eurovision Song Contest

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Eurovision, da sagra trash folkloristica a manifesto dell’europeismo ideologico: kitsch globalizzato, libertà prefabbricata e spettacolo anestetizzato. Nessuna cultura, solo marketing occidentale armato di cassa dritta e retorica NATO.

Europeismo demenziale: l’Eurovision Song Contest

È bene precisarlo, l’Eurovision Song Contest non è organizzato dall’Unione Europea bensì dall’Eurovisione, quella struttura inter-televisiva di cui conosciamo le note della sigla accordate da Marc-Antoine Charpentier. Quando nella stessa Europa si contrapponevano i blocchi, l’Eurovisione, seguendo le tracce disegnate dall’ONU e da tutte le organizzazioni internazionali non dichiaratamente di parte, si limitava a descrivere i luoghi senza correttivi ideologici.

Un collegamento da Tblisi o da Cracovia non comportava risentimenti o levate di scudi, nonostante la minaccia nucleare fosse sempre sullo sfondo delle conversazioni diplomatiche.

Anche l’Eurovision aveva un nonsoché di sagra parrocchiale con una rappresentazione trash del folklore e quindi della tradizione o del costume popolare rivisitati in meta turistica permanente.

Si potevano ammirare austriaci vestiti da tirolesi, tedeschi da mastri birrai, italiani da gondolieri, svedesi da vichinghi, spagnoli da toreri. La manifestazione recitava un soggetto innocuo, involontariamente comico; un “Giochi senza frontiere” meno acrobatico, più ispirato.

Questa ingenua purezza di spirito negli ultimi anni si è dissolta per rovesciarsi in un manifesto ideologico della dottrina europeista, che è la stessa di qualsiasi organizzazione espressione del multilivello occidentale.

L’Europa quale spazio sacro che eleva l’occidentalismo a regime, a cultura fideistica, a propensione inderogabile per un essere umano asfissiato da un ridanciano ebetismo che tutto risolve in una preconfezionata libertà dei costumi. Impossibile scorgere richiami alla cultura di origine in alcun brano musicale.

La kermesse è un polpettone di campionature stonate non associabile ad alcuna realtà territoriale né a una ipotetica impronta cosmopolita, come un tempo poteva essere l’Europa asburgica.

L’immaginario, il capitale simbolico dell’europeismo ideologico sono rappresentati dall’asetticità dei rapporti umani classificati secondo le norme della concorrenza individuale, dall’indistinzione gelida dei palazzi di vetro, delle isole perdonali omozigote di stanza in ogni città, dei piatti tipici di eguale sapore masticati forsennatamente prima di esprimere le recensioni social, dei reportage fotografici dove i monumenti fanno da sfondo ai primi piani di faccioni che non pensano a nulla.

La cassa dritta, le provocazioni libertarie proprie di un Occidente liberatore in una nuova impresa coloniale, lo sfoggio impunito della bandiera israeliana rendono l’Eurovision la prova dell’inesistenza di un qualsiasi sentimento europeo, tanto più assente e tanto più forsennatamente sbandierato. Ciò che si celebra è la prosopopea dell’Occidente armata dalla Nato.

L’europeismo ideologico, difatti, non trova in Schiller, Goethe, Leopardi, Strindberg e Balzac delle radici in comune, perché ad essi si dovrebbero aggiungere anche Tolstoj, Čechov e Dostoevskij, inopinatamente e scandalosamente russi.

La cultura dell’europeismo ideologico è condensata nella manualistica manageriale, nell’uso inespressivo del globish, nei pallottolieri finanziari che scommettono sui rischi d’investimento. Negli anni immediatamente successivi alla ratifica del Trattato di Maastricht l’ossessione pedagogica dello Stato e della Governance era quella di diffondere a tutti i livelli una cultura finanziaria degna di cittadini consapevoli.

E proprio la cultura finanziaria rappresenta il collante con il quale è stato improvvisato un sogno comunitario; per nascondere l’assenza di qualsiasi autenticità nel sentimento europeo si è dato sfoggio alla libertà data dalla logica d’impresa, dal raziocinio delle autorità indipendenti.

E su questa assenza si è potuto concepire uno spettacolo così demenziale qual è stato l’Eurovision. Demenziale, e incurante di bandiere che grondano sangue e che offendono l’umanità e la giustizia.

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parole ribelli, menti libere

 

 

Ferdinando Pastore
Ferdinando Pastore
"Membro dell'esecutivo nazionale di Risorgimento Socialista, ha pubblicato numerosi articoli di attualità politica incentrati sulla critica alla globalizzazione dei mercati e sui meccanism di funzionamento dell'Unione Europea. Redattore dell'Interfenreza e editorialista de Il Lavoro"

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