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Un tempo la TV italiana era il cuore pulsante del dibattito domestico e un rifugio per chi cercava un po’ di distrazione. Oggi è un cimitero di elefanti, l’ultimo rifugio di una società che cerca disperatamente di aggrapparsi a qualcosa di familiare, temendo il cambiamento.
La Tv italiana è inguardabile
Da molto tempo ormai, il destino di ogni nuovo programma televisivo sembra scritto in un copione prevedibile. Si parte con la prima scena: il prodotto viene annunciato con grande clamore, tra interviste e promesse di “qualcosa di innovativo”. Dirigente che parla di orgoglio di rete, coraggio, investimenti in nuove idee e talenti.
Scena successiva: il programma va in onda e gli ascolti crollano inesorabilmente.
Si passa direttamente al finale: i responsabili incolpano il pubblico per il fallimento, incapace di apprezzare la novità. E così si riparte, in un ciclo infinito di fallimenti annunciati.
Un tempo la TV italiana era il cuore pulsante del dibattito domestico attorno alla tavola da pranzo e un rifugio per chi cercava un po’ di distrazione. Oggi, a funzionare sugli schermi generalisti sono rimasti solo gli eterni elefanti: “Amici”, “L’Isola dei Famosi”, “Grande Fratello”, “Ballando con le Stelle”, “X-Factor”. E naturalmente, il Festival di Sanremo che continua a registrare – anche inspiegabilmente- ascolti bulgari.
I nuovi programmi, con titoli e conduttori rinnovati, sono spesso creati dalle stesse menti che ci hanno regalato la solita sbobba. Inamovibili, più della nostra classe politica. Il risultato? È come se un oste ci servisse del vino vecchio in una bottiglia nuova, sperando che il cliente non si accorga.
E gli intellettuali? Stanno su X, ma solo temporaneamente, sia chiaro, poi torneranno a fare l’esegesi dell’empiriocriticismo leninista, ma nel mentre fanno a gara a chi tuitta le battute più taglienti sulla gaffe del giorno.
Ogni volta che va in onda uno di quei programmi cosiddetti nazional-popolari, finisce immancabilmente nei top trend dei social, dimostrando che molti amano un po’ di trash televisivo ma non possono dirlo.
E che dire poi dell’estate che è l’apoteosi del deja vu. Da giugno in poi, i palinsesti si riempiono di repliche, con gli spettatori che si lamentano, ma non resistono all’ennesima visione di “Nel sole” con Albano e Romina, “Paperissima” e “Techetecheté” che ci propina per l’ennesima volta il duetto Mina-Battisti (grandissimi, per carità, ma alla milionesima messa in onda…).
Chi guarda la TV d’estate viene considerato un problema, uno che sta messo così male che quasi si merita di rivedere le stesse scenette trite e ritrite del Gabibbo. (C’è ancora? Non lo so, sono andato a sentimento.)
Eppure, nonostante il grande calo di spettatori, la fuga sulle piattaforme streaming, la media giornaliera di ascolti delle sette principali reti generaliste – Rai, Mediaset e La7 – è intorno ai sei milioni di persone, un italiano su dieci. La televisione resta la principale fonte di informazione per la maggior parte dei cittadini, che stanno invecchiando assieme ai palinsesti .
La programmazione serale produce un rumore di fondo indistinguibile, tutto sa di già visto. L’introduzione fiume di Mentana al suo Tg, le interviste sdraiate di Del Debbio, l’eterna Mara Venier nella domenica pomeriggio, i Cugini di campagna ospiti nel pomeriggio di Rai 2, il one man show di Gianni Morandi, le repliche di “A-Team” al mattino, “La Signora in giallo” e “Beautiful” a pranzo, un blob indistinguibile .
Spegnendo la TV, ci si rende conto di non avere a disposizione alcuna consolazione, nessuna morale a cui fare affidamento. Questa ripetizione coatta potrebbe essere una metafora di un paese in crisi, incapace di guardarsi allo specchio e di affrontare la realtà.
Oppure, potrebbe essere l’ultimo rifugio di una società che cerca disperatamente di aggrapparsi a qualcosa di familiare, temendo il cambiamento.
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