L’ex repubblica sovietica, colosso mondiale del gas, ha un serio problema con le emissioni ed è tra i principali responsabili dell’effetto serra.
La bomba ecologica del Turkmenistan
Secondo la società di monitoraggio Kayrros, dei 50 rilasci più gravi di metano nell’atmosfera dovuti alle operazioni di estrazione di petrolio e gas naturali nel 2019, 31 sono stati riscontrati in Turkmenistan.
Le emissioni complessive di metano della repubblica ex sovietica, che conta appena 6 milioni di cittadini, erano terze su scala globale, appena dietro Stati Uniti e Russia, Nazioni significativamente più popolate.
La dispersione di metano tra le principali cause dell’effetto serra e, quindi, del riscaldamento globale, in Turkmenistan, sta allarmando la comunità scientifica internazionale: con il Paese, governato in modo autoritario daa Gurbanguly Berdymukhamedov, è difficile intrattenere rapporti di cooperazione.
In più, la Cina è il principale importatore del gas turkmeno, rapporto consolidato quest’anno con la progettazione di un nuovo gasdotto tra i due Paesi da realizzarsi al costo di 8 miliardi di dollari.
A denunciare il problema è stato Bloomberg, raccontando la storia di Carrie Herzog, tecnico di Ghgsat, società canadese che si occupa di monitoraggio delle emissioni.
Dal suo ufficio di Montreal, Herzog ha notato con l’ausilio di uno spettrometro satellitare due enormi rilasci di gas in un’area desertica del Turkmenistan. Due fuoriuscite di metano, lunghe più di tre chilometri ciascuna: tra i più grandi rilasci di gas mai osservati in tempo reale, provenienti dal giacimento di gas naturale di Korpezhe.
In seguito alla rilevazione di Ghgsat, si è scoperto che quella perdita di metano nei pressi di una stazione di compressione era attiva da almeno cinque anni.
Per dare un’idea dell’impatto che il rilascio di metano ha sul cambiamento climatico, basti pensare che questo gas ha un potere di riscaldamento globale 80 volte più alto dell’anidride carbonica.
Occorre che gli stati non investano con urgenza risorse per fermarne la fuoriuscita durante le fasi di lavorazione delle materie prime del sottosuolo per gli impianti energetici. Il rischio è di una minaccia meno fragorosa e visibile di altre catastrofi climatiche, ma altrettanto grave per il pianeta.
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