Roberto Gualtieri è il nuovo sindaco di Roma. Da exit poll e proiezioni il divario con Enrico Michetti appare incolmabile e il Campidoglio torna al centrosinistra dopo cinque anni di amministrazione Raggi. Un pensiero va comunque allo sconfitto: le brillanti esternazioni del Tribuno di Radio Radio mancheranno molto, soprattutto al mondo della satira.
La sconfitta di Michetti, l’astensione e il dadaismo del PD
L’affluenza definitiva nelle città interessate dal ballottaggio si è attestata al 43,94 per cento, secondo i dati diffusi dal Viminale. Un crollo di circa 9 punti rispetto 52,67 del primo turno. A Roma, su cui erano puntati i fari, è stata ancora più bassa.
La traduzione estremamente semplificata è che, su 10 romani, 7 se ne sono rimasti a casa, 2 hanno votato per Gualtieri e 1 per Michetti.
Chi ha vinto, teoricamente, non avrebbe molto da festeggiare se si andasse ad analizzare in profondità questi numeri, soprattutto in ottica futura; ma si sa, in politica conta sempre il presente e affrontare un problema dalla tolda di comando è meglio che stare fuori la porta.
Dunque il dato politico importante è che se nessuno va a votare il PD vince comodamente.
Una strategia elettorale dadaista.
Per il centrodestra una batosta al di la di ogni previsione: il centrosinistra incassa un risultato netto nelle grandi città: è una sconfitta pesante per Salvini e la Meloni che avrà sicuramente ripercussioni nella dialettica interna per la leadership sovranista.
Le scuse per il proprio elettorato sono già pronte:
- poteri forti
- astensionismo
- la manifestazione di sabato
- complotto comunista
- brogli
- candidati deboli
- scarsa comunicazione
L’unico che nel centrodestra ha vinto qualcosa resta Berlusconi, con Roberto Occhiuto di Forza Italia che vince in Calabria.
Tornando a Roma, Roberto Gualtieri ha già rilasciato la dichiarazione di rito del vincitore:
“Sarò il sindaco di tutti, romani e romane: di tutta la città. Una città in grado di valorizzare la partecipazione civica che ho visto in questi mesi”.
Per lui hanno votato, come annunciato nei giorni scorsi, sia Carlo Calenda che il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte. Per entrambi si tratta di voti a titolo personale e non a nome dei loro partiti. La sindaca uscente, Virginia Raggi, non ha dichiarato il suo voto.
La sconfitta di Michetti è una grossa perdita per la satira
Ci mancheranno le esternazioni di Michetti il Tribuno, com’era soprannominato, dai microfoni di Radio Radio, l’emittente a cui deve la sua tenue celebrità, una radio no vax (nel senso politico del termine) e ancora prima sostenitrice del metodo Di Bella – fatte con il piglio del professore da bar reso celebre da alcuni caratteristi degli anni ’60 e ’70 sugli schermi che portavano al cinema le periferie romane, alla Memmo Carotenuto.
Pensiamo alle sue brillanti uscite sulla Shoa, particolarmente originali (gli ebrei hanno le banche) o quando si è dato alle “lezioni di nazismo” :
“Prendete la Wehrmacht con un albero di traverso del diametro di 90 centimetri su una sede stradale a doppia carreggiata del tempo – ci dice sempre Enrico nostro bello – Per rimuoverlo, nel 1937, ci metteva 28 minuti senza utilizzare l’esplosivo. Nel 1942 lo stesso albero veniva rimosso in 4 minuti. Nel 1969 la Wehrmacht di Brema non riusciva a scendere sotto i 3 minuti. Questo fa capire che il territorio di guerra specializza, è la parte operativa, è quella che dà sensibilità, esperienza e capacità”.
Ancora oggi fatichiamo a capire cosa volesse dirci Michetti con questo interessantissimo aneddoto.
E che dire dele sue doti da statista? “Quando i rappresentanti del popolo non contano più niente vuol dire che c’è un’oligarchia che sta governando. E quando questa oligarchia serra i ranghi non serve più neanche l’oligarchia. Serve un uomo forte. Quando la situazione degenera, entra nel caos, serve un uomo forte che rimetta in ordine il Paese. E così si accede alle dittature”.
Siamo all’istituzionalizzazione dei discorsi dello zio spaccamaroni a tavola la domenica: quello che la sa lunga sulla vita e tu sei troppo giovane per capire, quello che al nipote scapestrato consiglia la carriera militare per ritrovarsi (due anni alla Nunziatella e vedi come ti rimetti in riga!), e che ti racconta di come da giovane fosse un irresistibile dongiovanni.
Cosa ci siamo persi? Forse il ritorno agli anni d’oro (per la satira) di Alemanno con i suoi alberi non strutturati per reggere il peso della neve, e il tormentone del “chiamo l’esercito”.
Resta il mistero insondabile di come alcune candidature possano nascere e, ancor più, di come possano comunque trovare un certo riscontro popolare.
Forse abbiamo tutti sottovalutato il Bagaglino di Pingitore.
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