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Il covid, la seconda ondata, è arrivata come previsto. Ma nonostante gli avvisi, ancora una volta sembriamo impreparati. Com’è possibile?
La seconda ondata è qui e noi siamo di nuovo impreparati.
Sono trascorsi ormai quasi otto mesi da quando Conte ha annunciato in Conferenza Stampa – la prima di una lunga serie – il lockdown nazionale. Decisione drastica, costretta dal collasso del sistema sanitario e delle innumerevoli vittime. Ricordiamo e ricorderemo sempre i medici che dichiaravano di dover decidere a chi salvare la vita per mancanza di posti letto in terapia intensiva. Ma dopo otto mesi, cosa è cambiato?
Durante l’estate, quando tutti abbiamo abbassato la guardia e il covid sembrava meno pericoloso, ci hanno instancabilmente terrorizzati sostenendo fermamente che in autunno sarebbe arrivata una seconda ondata. Ed eccoci qua.
Avevano ragione, i vari esperti medici virologi ministri etc, avevano tutti visto giusto, i loro vaticini si sono avverati, eppure la gente ancora muore fuori dagli ospedali.
È di una settimana fa la notizia di un 70enne morto fuori dall’ospedale di Avezzano, in crisi respiratoria da covid, che si è spento davanti alla sorella e alla moglie, nella disperata attesa di un ricovero. L’asl provinciale sostiene di averlo soccorso quasi subito, ma era tardi. Sarà aperta un’inchiesta, eppure la notizia non stupisce. L’agghiacciante verità è che tutti ci aspettavamo una cosa simile, presto o tardi.
È di qualche settimana prima la notizia di un 61enne morto a Reggio Calabria, lì ricoverato ma prima rifiutato dall’ospedale di Catanzaro per mancanza di posti letto.
Sempre ad Avezzano, pochi giorni fa, è deceduta una donna di 82 anni, ricoverata per covid ma poi rispedita a casa dopo pochi giorni, per mancanza posti letto.
In Abruzzo il governatore Marsilio lancia l’allarme: non ci sono posti letto.
A metà ottobre il Policlinico Umberto I di Roma già allertava sull’insufficienza dei posti letto.
Ambulanze in fila fuori dagli ospedali, per ore, i malati costretti a rimanere nel veicolo in attesa di…posti letto.
L’abbiamo vista tutti la foto di quel paramedico addormentato sul volante dell’ambulanza, in coda da 8 ore.
Insomma, da marzo ad oggi sembra sia cambiato poco. Il sistema sanitario è di nuovo al collasso, i medici e gli infermieri costretti a turni lunghissimi, pensionati richiamati a lavoro, ospedali da campo tirati su nottetempo.
E i tamponi? Un’altra odissea. Dopo settimane e settimane di code dantesche ai drive-in ora è necessario prenotare il tampone su internet e presentarsi il giorno e all’orario assegnato, tuttavia anche i tamponi cominciano a scarseggiare. Déjà-vu?
Era proprio inevitabile questo caos?
Chi presenta sintomi oggi prenotando accederà al tampone tra una settimana – se la fortuna lo assiste. Per i risultati i tempi sono altrettanto lunghi. Inoltre, in molte province già si denuncia la mancanza di reagenti per i tamponi e nei laboratori privati la situazione non è migliore: nel Lazio molti non prendono più richieste oltre il 15 novembre e prima del 15 è già tutto prenotato.
Gli assistenti sanitari che effettuano il tampone a domicilio non riescono a coprire il numero di richieste, le asl non riescono a tenere traccia effettiva di tutti i postivi, i medici di base sono sommersi di pazienti con sintomi ormai ben noti.
È il caos più totale, proprio come a marzo.
Eppure, quando questa tremenda malattia ha cominciato ad abbattersi sull’Europa, il nostro paese ha reagito prontamente, venendo addirittura decantato come il paese col miglior modello per il contrasto della pandemia. Ci siamo chiusi in casa per 3 mesi, come ci chiedevano.
Il lockdown ha richiesto tanti sacrifici ma ha salvaguardato le vite degli italiani, rivelandosi così efficace da regalarci un’estate molto più serena di quanto non ci si potesse aspettare.
Ma oggi, giunti infine al penultimo mese di questo anno tremendo, Conte appare meno saldo, più restio ad agire, come sospeso a metà tra la necessità di limitare la circolazione delle persone e lo sforzo di non frenare ulteriormente l’economia italiana.
Le decisioni che è chiamato a prendere da otto mesi sono delicate, l’opposizione, che non ha perso occasione per cercare di frammentare gli animi, difficilmente avrebbe saputo fare di meglio – benché non abbia mai smesso di cavalcare l’onda del malcontento popolare dubito che Salvini si renda davvero conto di cosa voglia dire essere al governo di un paese in piena pandemia.
Ma a marzo, noi cittadini del Bel Paese, uscivamo sui balconi, cantando tutti insieme l’inno d’Italia, fiduciosi che ne saremmo usciti; ora invece siamo stanchi, provati e delusi.
Il governo aveva promesso tante cose, soldi soprattutto, ma anche l’aumento delle unità di terapia intensiva, tanto millantato, che infine ha prodotto: 1.200 posti letto in più. Una cifra ridicola, a cui si stenta a credere.
La seconda ondata ci coglie ancora una volta impreparati, di nuovo alle porte di un collasso sanitario, e questo è inaccettabile.
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Covid: la seconda ondata. E l’economia?