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Allevamenti allagati. Del maiale non si butta via niente

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Le immagini degli allevamenti allagati in Emilia sono una finestra sull’orrore che travolge tutti gli animali in gabbia così come i lavoratori e le lavoratrici, vittime di una crisi che non hanno provocato.

Allevamenti allagati. Del maiale (e altri oppressi/e) non si butta via niente

Di Sara Della Giovampaola (Gruppo di Antispecismo Politico)

Con l’alluvione in Emilia-Romagna, a maggio, anche migliaia di animali non umani, maiali, polli, mucche, sono stati travolti dall’inondazione nelle gabbie degli allevamenti intensivi e comparsi nelle pagine di qualche giornale. Migliaia sono annegati, migliaia sono stati salvati. Abbiamo visto le immagini di Lugo in provincia di Ravenna, raffiguranti animali intrappolati negli allevamenti e travolti dalla piena del Senio e del Santerno, due dei fiumi esondati in quei giorni.

Si è parlato dei 600 maiali morti a Faenza travolti dall’acqua, dell’allevamento di Bagnacavallo. A San Lorenzo in Noceto sono morte annegate 60.000 di galline. La lista potrebbe continuare. In ogni caso quegli animali sarebbero morti per diventare prosciutto di Parma, petto di pollo o altro cibo per umani/e. Invece con l’alluvione sono diventati un danno, come il foraggio rovinato, le piantagioni asfissiate, i prodotti dei supermercati egli oggetti che abbiamo visto galleggiare sull’acqua fangosa tra le case della zona travolta dal disastro idrico.

Ormai si sa che la causa del cambiamento climatico, di cui episodi come le alluvioni sono la manifestazione, è il modo di produzione neocapitalistico. La quantità di anidride carbonica emessa da attività umane nell’atmosfera ha raggiunto una percentuale di oltre il 100% in più rispetto ai livelli pre-industriali, creando una serra atmosferica intorno al pianeta in grado di modificarne gli equilibri climatici.

Fenomeni concatenati all’innalzamento della temperatura, come lo scioglimento dei ghiacciai, l’acidificazione degli oceani, la diminuzione della biodiversità, l’estinzione di numerose specie animali e tribù umane, la siccità e la desertificazione di ampie zone del pianeta sono l’evidenza di un disastro globale.

Perché dunque soffermarsi sugli allevamenti allagati? Non per una priorità gerarchica di gravità, non si tratta di contrapporre i gattini abbandonati agli anziani fragili o alle coltivazioni sommerse, ma di vedere che c’è un filo che lega le sciagure degli animali umani e non umani.

Cos‘ha in comune la maggioranza di noi umani/e con gli animali degli allevamenti oltre al fatto di essere entrambi animali?

1. Come classe lavoratrice, apparteniamo con gli animali di allevamento alla massa degli sfruttati. Entrambi stiamo subendo una crisi che non abbiamo provocato!

L’affermazione che la causa dell’inquinamento siano gli esseri umani infatti non è precisa, è piuttosto una generalizzazione (intesa come meccanismo di difesa dell’Io alla Freud, difesa dall’angoscia che deriverebbe da un’insopportabile presa di coscienza).

“…ogni volta che si parla di riscaldamento globale andrebbe chiamato in causa il vero colpevole (e non genericamente l’attività umana): vale a dire il capitalismo, che imponendo l’infinita accumulazione di valore attraverso lo sfruttamento della natura rappresenta il motore del cambiamento climatico […] non di generica attività umana dovrebbe parlarsi bensì di attività capitalistica” (Ingrid Colanicchia, Micromega, 13 Agosto 2021).

Attività capitalistica, possiamo aggiungere, di una classe, quella che trae vantaggio economico da tale attività, ed una massa che pur essendovi investita come forza lavoro ci guadagna solo la sopravvivenza.

In quanto massa di lavoratori consumatori e lavoratrici consumatrici dei contesti capitalistici avanzati partecipiamo alienati/e alla giostra del consumo soddisfacendo i bisogni del capitale e non i nostri sconosciuti bisogni, manipolati sul nascere (strumentalizzazione del desiderio) dal capitale stesso.

Da questo punto di vista animali di allevamento e classe operaia hanno in comune la legittimità legale del loro sfruttamento nel contesto del welfare state.

2. Oltre a questa comunione tra animali di allevamento e classe lavoratrice sfruttata nei limiti della legalità, i maiali e gli altri animali intrappolati negli allevamenti sono ancor più accomunabili ad un’altra enorme massa di lavoratori e lavoratrici sfruttati e sfruttate. Si tratta della massa che non ha neanche dignità contrattuale: gli/le schiavizzati/e in casa Europa e nei paesi colonizzati, le popolazioni indigene di tutto il pianeta, i/le migranti climatici/he. Si tratta di coloro che non solo la crisi la subiscono senza averla provocata ma che non hanno neanche fatto un giro di giostra in un qualunque divertimentificio commerciale.

I maiali degli allevamenti possono essere assimilabili ai fini del capitale ai 26.000 morti stimati/e negli ultimi 10 anni nel Mediterraneo, senza contare tutti coloro che non sono neanche diventati numero.

La crisi climatica incide ancora prima e più gravosamente su coloro che non l’hanno prodotta. I/le migranti climatici sono messi in fuga dalla siccità che si allunga sulle loro terre, le stesse terre impoverite dalla colonizzazione di grandi monopoli e oligopoli privati. Unica differenza valoriale è che i maiali in quanto merce producono profitto e la loro morte è una perdita per gli imprenditori.

I migranti valgono ancora meno sul piano immediatamente commerciale ma hanno anche loro un grande valore spolpabile. Come dei maiali, così neanche degli ultimi e delle ultime della terra si butta via niente. Si tratta di categorie che producono immenso valore col minimo investimento, materia prima utile fino alle ossa, alla cartilagine, alle setole.

Le carcasse dei/le migranti, per esempio, seppure non servano a far caramelle e conservanti sono utilizzabili in diversi altri modi. Servono per fare un esempio a vocianti di mestiere, ai relativi ministri degli esteri, populisti d’occasione, segretari di partiti come strumento di distrazione di massa. A dirlo non sono solo psicolinguisti e sociologi critici rispetto al paradigma sistemico economico-culturale (Chomsky) ma anche esponenti della conferenza episcopale italiana.

Le immagini degli allevamenti allagati in Emilia sono una finestra sull’orrore che travolge tutti gli animali in gabbia, i lavoratori e le lavoratrici, gli espropriati e le espropriate delle risorse delle loro terre di origine di tutto il mondo.

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Gruppo di Antispecismo Politico è un collettivo ecosocialista antispecista attivo nello studio e nella ricerca sui temi della giustizia animale e sociale. Ci proponiamo di avvicinare sinistra e animalismo, di indagare e denunciare l’influenza del neoliberalismo sul mondo della lotta per i diritti e la liberazione animale e su quello dei movimenti sociali in generale.

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