Dall’austerità espressiva di Pietro Nenni ne “Le prospettive del socialismo dopo la destalinizzazione”, fino al “Ne ho le palle piene di spacciatori e clandestini” di Salvini, siamo il punto più avanzato di ardite sperimentazioni dialettiche, dove il contenuto va di pari passi con la forma.
Le sperimentazioni dialettiche della politica
Siamo all’avanguardia, non c’è che dire. Per una serie di motivi storici, culturali, “antropologici”, il nostro paese è un brillante laboratorio linguistico.
Argutezza, sottigliezze, brillanti escamotage fanno parte del nostro pane quotidiano.
Questo, almeno per quel che riguarda i tempi moderni, lo si deve principalmente al fatto che siamo un paese profondamente “riformista” in tutte le sue componenti essenziali: il governo è riformista, l’opposizione è riformista, confindustria è riformista,il premier è “profondamente” riformista, la chiesa è riformista.
L’esercizio dialettico si pone quindi come avanguardia dell’innovazione: più il paese progredisce, più ferve la diatriba, la dialettica tra le varie componenti. Questo ci riporta direttamente in una mirabile sintesi storica, alla “polis” greca, quella della diatriba e del dialogo di massa, fatto però da “individui personali”, come da retaggio del giovane Marx.
In questo ambito, quindi, potremmo definirci all’avanguardia nella tradizione. Per esempio, si discute tra governo e questure se sia opportuno applicare il divieto di partecipare alle manifestazioni “in centro”, vicino ai palazzi delle istituzioni, e magari anche quelle dove ci sono persone! Una sottigliezza giuridica, noblesse oblige!
E che dire della diatriba sulle radici della nostra tradizione familista e se sia quindi opportuno o meno avere una legge contro l’omotransfobia senza che questa costringa le persone a fare sesso con animali o cose, come ha detto quest’estate la Garante per l’infanzia in Umbria.
Ma abbiamo toccato vette elevate in diversi ambiti, basta aver buona memoria. Fino a poco tempo fa, prima della pandemia, prima che studenti, disoccupati e operai disturbassero con le loro chiassate, su clima, diritti e lavoro, era molto intrigante il dibattito su se fosse più etico rinchiudere i migranti nei centri d’accoglienza o lasciarli affogare nel mediterraneo.
E che dire della provocazione in punta di fioretto del responsabile cultura di Fratelli d’Italia a Trento, Luca Valentini, proprio di questi giorni, impegnativa nelle implicazioni, ovvero sull’opportunità o meno per le donne di avere amplessi con i cavalli al posto degli uomini.
Ci si è divisi tra gli storicismi hegeliani fautori dell’intangibilità della strutturata coppia tradizionale, e tra i più intransigenti nichilisti nietzechiani, con la volontà di modificare la natura, anche se ciò si manifesta sotto forma di ingropparsi un cavallo .
Un classico che non passa mai di moda resta l’annosa questione tributaria, e cioè: in uno stato moderno, autodefinitosi “civile”, che pone la tutela dei cittadini e il “lavoro” come fulcro del suo essere, bisogna “per forza” pagare le tasse? Un esponente dell’intellighienza nordica, senza scomodare epigoni del pensiero reazionario, proponeva tempo fa, con molta sottigliezza, l’uso dei fucili.
In questo proliferare di tedenze, approfondimenti, schermaglie, invenzioni nel linguaggio, le frange popolari più emarginate sono ugualmente tendenti al meltin pot culturale.
Difatti si assiste sempre più spesso a discussioni in quegli ambiti su se siano più immondi, pedofili, ubriaconi e delinquenti gli africani, oppure se gli zingari detengano ancora il primato.
Comunque ci si può sempre distrarre con argomenti più frivoli. Quali? Bè, sarete curiosi di sapere come replicherà Pillon ai Maneskin, no?
“Chi non parla è dimenticato.” Lo scrisse Pierpaolo Pasolini. Ma intendeva altro.
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