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Occidente e Africa: la seconda decolonizzazione

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Stiamo assistendo non solo alla defrancesizzazione dell’Africa, ma a una nuova decolonizzazione, al rifiuto della cultura europea e ricollocazione geopolitica. Un processo non privo di contraddizioni e di pericoli.

La seconda decolonizzazione

L’evento epocale in cui siamo immersi è quello di una seconda ondata del processo di decolonizzazione. La prima è stata un fallimento su molti versanti e per molte ragioni:

  • l’eredità del colonialismo che aveva costruito a tavolino e inventato stati, facendo violenza a comunità e tradizioni secolari
  • l’idea di una decolonizzazione senza modernizzazione
  • la mancanza di un’accumulazione originaria del capitale che potesse essere usata per una sorta di take off dei paesi del terzo mondo,
  • i popolo colonizzati avevano assunto la prospettiva del colonizzatore e interiorizzato l’identità che questi rimandava loro,
  • l’idea stessa di socialismo era troppo occidentale, e resta da capire se quando accadde in Cambogia fu conseguenza della cultura cambogiana o dell’introiezione reattiva di un’idea di purezza caratteristica della cultura occidentale.

Molti altri fattori andrebbero aggiunti, e analisi più fini dei limiti di quel processo sarebbero necessarie. Appartiene all’analisi del passato, necessaria per comprendere il presente.

Ma oggi sta accadendo qualcosa di nuovo, inedito, che non è la prosecuzione di quel processo. Assistiamo alla defrancesizzazione dell’Africa, al rifiuto della cultura europea da parte di quei popoli, ma con un progetto di modernizzazione, di sviluppo.

La sfida per molti popoli, non solo africani, è coniugare modernizzazione e identità culturale, senza sciogliersi nei valori occidentali, che sono universali solo per noi.

Questo processo non è privo di contraddizioni, di pericoli, e non sarà facile e nemmeno una passeggiata come l’idea di progresso, che è occidentale ed anche un’invenzione recente, ci farebbe immaginare. Ma può essere percorso perché nuove condizioni si sono create.

In primo luogo Cina, India, Brasile possono fornire il capitale necessario a innescare sviluppo. Quel capitale che l’Occidente non ha mai voluto fornire limitandosi a sussidi atti a mantenere quegli stati in condizione di sottosviluppo e di dipendenza. Naturalmente nessuno fa niente per niente, le contraddizioni ci sono e Anche qui bisognerebbe entrare in maggiori dettagli.

I nuovi processi di decolonizzazione hanno bisogno di forza militare. Banalmente, in altre condizioni in Niger la Francia sarebbe già intervenuta militarmente mossa da esigenze “umanitarie”. Ora non lo può fare, da un lato perché Burkina Faso e altri stati hanno detto chiaro che ingerenze straniere in Niger sarebbero considerate una dichiarazione di guerra. E naturalmente possono farlo perché possono contare sul sostegno russo.

La Russia non è l’Unione Sovietica, non mira a imporre un tipo di sistema sociale, e questo introduce un nuovo elemento sul terreno geopolitico, che qui non esploriamo ulteriormente.
Ma questo processo non è senza impatto sui nostri piani, sulle nostre economie.

Per fare solo un esempio, parliamo di green, energia pulita, di nucleare. Ma anche il nucleare implica materie prime, collocate per esempio in Niger, in Kazakistan. La Francia dovrà rivedere qualcosa.

È un processo complesso, contraddittorio, e il rischio è che lo si affronti col moralismo, col tema dei diritti, che ovviamente sono solo la maschera di interessi da nascondere.

Un processo che coinvolge la riduzione non solo è non principalmente della Francia, che solo per risentimento ha consegnato missili in Ucraina, ma l’intero cosmo dell’anglosfera.

Abbiamo due grandi potenze europee, Francia e Inghilterra, che stanno uscendo dalla storia mondiale, che saranno ridotte a un ruolo marginale, gli Stati Uniti che continueranno ad avere un ruolo fondamentale, ma non più di padrone assoluto.

Pensare questi processi inesorabili è l’unica maniera per evitare disastri su disastri, perché non basta che non si arrivi a una catastrofe nucleare: è necessario evitare che i prossimi decenni siamo costellato da guerre su guerre.

Per fare questo bisogna dismettere la retorica dei diritti universali, iniziare a studiare la storia, le tradizioni, le contraddizioni reali.

Accomiatarsi da John Rawls e da tutto quel pensiero che ha rimosso la storia e la realtà, e iniziare a ragionare seriamente.

In questo è anche la sfida per la filosofia: se essere riflessione autocomprensione della propria epoca o ideologia a uso per potere, mera produzione di argomenti utili a nascondere le contraddizioni reali.

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Vincenzo Costa
Vincenzo Costa
Vincenzo Costa è professore ordinario alla Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, dove insegna Fenomenologia. Ha scritto saggi in italiano, inglese, tedesco, francese e spagnolo, apparsi in numerose riviste e libri.

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