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Macron vuole estendere l’ombrello nucleare francese all’Europa, ma le sue testate sono fatte solo per colpire indiscriminatamente e non condivisibili strategicamente. Contraddice la dottrina ufficiale e maschera con smargiassate atomiche la crisi interna. Chi protegge l’Europa da Macron?
Macron tra smargiassate sull’atomica e crisi interna: tutte le incongruenze del presidente che voleva proteggere l’Europa
Nel marzo del 2024, il Financial Times pubblicava un titolo secco, ma potenzialmente dirompente: “Emmanuel Macron è aperto all’installazione di armi nucleari francesi in altri Paesi europei”.
Dietro questa dichiarazione apparentemente strategica si cela una serie di contraddizioni, incoerenze e ambizioni personali che mettono in discussione non solo la leadership francese, ma l’intera logica di sicurezza del continente europeo.
La Francia, con le sue 290 testate nucleari, si propone come ombrello protettivo del Vecchio Continente, sfidando la Russia dalle 5.600 testate e surclassando la diplomazia con la retorica del deterrente assoluto. Ma a ben vedere, quella di Macron più che una strategia appare una smargiassata nucleare, utile a mascherare le sue difficoltà politiche interne.
Un arsenale per la fine del mondo
A differenza delle armi tattiche russe, progettate per un uso limitato sul campo di battaglia e potenzialmente parte di un’escalation controllata, la Francia possiede solo testate strategiche. Bombe pensate per colpire città, cancellare intere aree urbane e scatenare una rappresaglia che segnerebbe la fine della civiltà. La deterrenza francese non è uno strumento di difesa graduale, ma una minaccia esistenziale, quasi metafisica.
Eppure Macron immagina di condividerla con gli alleati europei. O almeno, così dice. Ma può davvero offrire qualcosa che, per dottrina e struttura, non è condivisibile?
Il bottone di Macron
La dottrina nucleare francese prevede che l’arma atomica sia sotto il controllo esclusivo del Presidente. Parigi, non a caso, è rimasta sempre fuori dal Nuclear Planning Group della NATO. Se oggi Macron propone di “estendere” il deterrente, va detto subito che la chiave del bunker resta nelle sue mani. La sua è un’offerta fittizia: un ombrello che può essere aperto o chiuso solo da lui, secondo criteri e tempistiche non condivise né condivisibili.
Il Libro bianco della Difesa del 2013 lo dice chiaramente: la deterrenza atomica francese serve a garantire la libertà d’azione e l’indipendenza decisionale della Repubblica. Macron stesso, nel 2020, ha dichiarato che le armi nucleari francesi servono a “infliggere danni assolutamente inaccettabili ai centri di potere” dell’aggressore, indipendentemente dal tipo di minaccia. Nessuna logica di proporzionalità. Nessuna “soglia di utilizzo”. Solo first strike e rappresaglia totale.
Un presidente fuori dottrina
Le affermazioni di Macron, quindi, sono in aperta contraddizione con la stessa dottrina strategica del suo Paese. Come ha spiegato il generale Thierry Burkhard davanti all’Assemblea nazionale nel gennaio 2023, la deterrenza francese non si basa sulla nozione di soglia: “La nostra capacità di deterrenza garantisce possibilità di secondo attacco e non esclude l’uso per primo dell’arma nucleare”. In altre parole, la Francia può colpire per prima, senza avvertimento, e senza nemmeno attendere un’aggressione nucleare. Non una politica di contenimento, ma una postura potenzialmente offensiva.
Un’Europa sotto ricatto?
Viene spontaneo chiedersi se leader come Donald Tusk e Friedrich Merz, rispettivamente in Polonia e Germania, abbiano compreso appieno la portata dell’iniziativa macroniana. Davvero intendono legare la sicurezza delle loro nazioni alla volontà (e agli umori) del presidente francese? Macron gioca con la politica estera come fosse una partita di poker, nel tentativo trasparente di distogliere l’attenzione dalle crisi interne che attanagliano la Francia: tensioni sociali, scioperi, calo di consenso e un’opinione pubblica sempre più diffidente.
La retorica atomica diventa così l’ennesima trovata per mostrarsi leader “globale”, compensando la propria fragilità nazionale con posture aggressive sullo scacchiere internazionale.
La guerra che (forse) non verrà
Nel peggiore dei mondi possibili, uno scontro tra potenze nucleari in Europa non comincerebbe con i missili intercontinentali, ma con armi a bassa intensità: artiglieria, ordigni tattici, bombe a corto raggio.
In quel contesto, l’arsenale francese è semplicemente inadeguato. Le sue armi sono progettate per l’ultimo atto, non per la gestione della crisi. Pensare di usarle per la “protezione” dell’Europa è irresponsabile, se non ridicolo. È come offrire un martello pneumatico per aprire una serratura.
Chi protegge la Francia da Macron?
La domanda è legittima. Se da un lato Macron si propone come baluardo dell’Europa, dall’altro mostra tutte le caratteristiche di un leader in affanno: incoerente, isolazionista nei fatti, pericolosamente incline alla teatralità politica. La sua ambizione personale lo spinge a scavalcare i limiti della logica strategica, travestendo di idealismo ciò che è in realtà una manovra di sopravvivenza politica.
Nel vuoto di leadership europea, il presidente francese si atteggia a salvatore atomico. Ma sotto la vernice di grandeur, resta un uomo solo al comando di un arsenale concepito per un mondo che non esiste più. Forse è il caso che l’Europa, prima di accettare la sua protezione, si chieda chi proteggerà la Francia… da lui stesso.
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