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L’illusione dell’alleanza: predoni USA, agnelli di Kiev e cretini a Bruxelles

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Gli USA hanno usato la guerra in Ucraina per consolidare la loro egemonia in Europa, ma ora chiedono a Zelensky la cessione di risorse strategiche. Il voto ONU mostra una crescente distanza tra Washington ed Europa, mentre la Russia ottiene un riconoscimento di potenza imperiale senza precedenti.

L’illusione dell’alleanza: il prezzo della guerra per l’Ucraina e il declino dell’egemonia USA

Che l’Ucraina fosse destinata alla sconfitta era prevedibile per chiunque guardasse il conflitto senza pregiudizi ideologici. Sin dall’inizio, la guerra ha avuto due obiettivi distinti: per Kiev, la difesa della sovranità nazionale dall’invasione russa; per gli Stati Uniti, un’occasione per rafforzare la propria egemonia in Europa e indebolire Mosca.

Tuttavia, il sostegno occidentale si è rivelato meno solido di quanto promesso. Ora, con Kiev sempre più in difficoltà e un’America sempre più riluttante a fornire aiuti senza contropartite, emergono le contraddizioni di un’alleanza che somiglia più a una subordinazione che a una reale cooperazione.

L’egemonia statunitense e il sacrificio ucraino

Gli Stati Uniti non hanno mai avuto un legame simbiotico con l’Ucraina. Mentre quest’ultima combatteva per la sua sopravvivenza, Washington perseguiva i propri interessi strategici, mirando a consolidare il controllo sull’Europa e a logorare la Russia.

Questa asimmetria di obiettivi è diventata lampante, per chi fingeva di non vedere, soprattutto tra i grandi ‘opinionisti’ sulle tv generaliste, nella pressione americana per ottenere il controllo su un’enorme quota delle risorse naturali ucraine, come le terre rare.

Il fatto che gli USA avanzino tali pretese non stupisce: nel loro schema di potere, il sostegno non è mai gratuito. Tuttavia, la spregiudicatezza con cui oggi esercitano questo ricatto economico evidenzia una realtà impietosa: l’Ucraina è stata un mezzo e non un fine.

L’atteggiamento predatorio di Washington non è nuovo. La storia recente offre altri esempi, come il trattamento riservato alla Grecia durante la crisi del debito, quando l’UE (con il placet americano) ha spogliato Atene delle sue risorse strategiche in nome di un’austerità senza alternative.

Il caso ucraino segue la stessa logica: una nazione devastata dalla guerra che si trova a dover scegliere tra cedere il proprio patrimonio economico o essere abbandonata al proprio destino.

La risposta di Zelensky e il destino dell’Ucraina

In questo contesto, la decisione del presidente Zelensky di respingere la cessione di 500 miliardi di euro di terre rare agli Stati Uniti appare come un raro atto di autonomia politica. Tuttavia, questa resistenza potrebbe non bastare. Gli USA difficilmente rinunceranno a una fetta così importante di risorse senza esercitare ulteriori pressioni, politiche o economiche, sull’Ucraina.

Dopo aver combattuto una guerra impossibile da vincere senza un impegno diretto della NATO, Kiev si trova ora a fronteggiare un doppio rischio: il ridimensionamento da parte della Russia e la spoliazione economica da parte del suo principale alleato.

La storia dimostra che quando gli interessi americani cambiano, gli alleati diventano sacrificabili. L’Afghanistan è un esempio recente: dopo anni di occupazione, Washington ha abbandonato il paese al suo destino quando non ha più ritenuto strategico mantenerne il controllo.

Il nuovo ordine mondiale: chi guadagna e chi perde

Se da un lato gli Stati Uniti sembrano orientati a una gestione più opportunistica del conflitto, dall’altro emergono nuovi equilibri geopolitici. Alla recente assemblea dell’ONU, il voto sulla condanna dell’invasione russa ha mostrato un cambiamento significativo nei rapporti di forza.

Mentre l’Europa si è compatta nel condannare Mosca, molti paesi emergenti si sono astenuti o hanno evitato di prendere posizione. Ancora più sorprendente è stata la convergenza tra Stati Uniti e Russia nel respingere la risoluzione, un segnale che potrebbe indicare l’inizio di una nuova fase nei rapporti internazionali.

L’Europa, dal canto suo, continua a recitare un ruolo marginale. Francia e Germania, nonostante il loro peso economico, rimangono intrappolate in una subordinazione politica verso Washington. Il risultato è un continente sempre più svuotato di potere decisionale, incapace di affermarsi come attore autonomo.

L’Italia, con la sua tradizionale ambiguità, segue a ruota: Giorgia Meloni ha recentemente ribadito la sua fedeltà a Trump, confermando che il governo italiano è disposto a seguire qualsiasi indirizzo imposto dagli Stati Uniti, anche a scapito degli interessi nazionali.

La scommessa di Trump e il rischio di una nuova guerra fredda

La politica estera americana sotto Trump si sta caratterizzando per la sua imprevedibilità e aggressività, tutte cose annunciate, sorprende la reazione degli analisti, che sembrano risvegliarsi da un lungo sonno solo ora, vedendo pericoli e presagendo sventure, che a ben vedere erano già tutte incanalate negli avvenimenti degli ultimi anni.

Gli equilibri globali sono in piena trasformazione. Gli Stati Uniti mantengono il loro ruolo di potenza egemone, ma con sempre meno scrupoli nel gestire le proprie alleanze. La Russia, nonostante le sanzioni e l’isolamento diplomatico, ottiene di fatto un riconoscimento del proprio status di grande potenza. L’Europa, invece, resta a guardare, incapace di determinare il proprio destino.

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