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La crisi dimenticata: escalation di violenza nella Repubblica Democratica del Congo

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La RDC è travolta da un’escalation di violenza: il gruppo ribelle M23 ha conquistato Goma e Bukavu, segnando una svolta nel conflitto. Oltre 7.000 morti nel 2025, milioni di sfollati e crisi umanitaria devastante. Il governo chiede un intervento internazionale immediato.

Escalation di violenza nella Repubblica Democratica del Congo

Nelle ultime settimane, le province orientali della Repubblica Democratica del Congo (RDC) stanno affrontando un’ondata di violenza senza precedenti. I ribelli del Movimento 23 Marzo hanno lanciato una massiccia campagna militare che ha portato alla caduta di due centri nevralgici della regione lacustre al confine ruandese: Goma e Bukavu.

Questo inasprimento delle ostilità ha segnato un punto di svolta nel lungo scontro che insanguina il paese, consacrando definitivamente il movimento ribelle come la fazione insurrezionale più temibile e strutturata tra quante sfidano l’autorità di Kinshasa.

Genesi di una ribellione persistente

Ma cos’è l’M23? Parliamo di un gruppo paramilitare emerso nel panorama congolese circa sedici anni fa. La sua denominazione richiama direttamente gli accordi siglati nei primi mesi del 2009 quando l’amministrazione Kabila tentò una riconciliazione con le forze del Congresso Nazionale per la Difesa Popolare, fazione armata che aveva tentato invano di strappare il controllo della zona del Kivu alle autorità centrali.

Le intese prevedevano lo scioglimento delle milizie e il loro assorbimento nelle strutture militari e di sicurezza ufficiali, oltre alla metamorfosi in entità politica legittima. Tuttavia, l’ala oltranzista respinse categoricamente questa soluzione pacifica, optando per la prosecuzione della lotta armata sotto l’insegna del “23 Marzo”.

Un’ecatombe nei territori contesi

La spirale di brutalità che devasta il versante orientale della RDC ha raggiunto proporzioni apocalittiche nel primo trimestre 2025. Stando alle rivelazioni della Capo del Governo congolese durante una seduta straordinaria del massimo organo ONU per i diritti umani a Ginevra lo scorso 24 febbraio, le vittime dall’inizio dell’anno hanno superato quota settemila.

“Lo scenario umanitario e securitario nel quadrante est ha raggiunto livelli catastrofici“, ha denunciato la leader dell’esecutivo, puntando i riflettori su una carneficina che miete principalmente vittime tra i non combattenti. Particolarmente agghiaccianti i dettagli sulla gestione dei cadaveri: “Delle settemila vittime censite, circa 2.500 salme sono state tumulate in fosse senza identificazione mentre oltre 1.500 giacciono ancora nelle strutture mortuarie”.

Un elemento particolarmente inquietante nelle dichiarazioni ufficiali riguarda la natura dei caduti. Smontando la propaganda secondo cui si tratterebbe esclusivamente di perdite militari, la Premier ha precisato: “L’identificazione delle vittime resta incompleta, e benché molti sostengano trattarsi solo di effettivi dell’esercito, la verità è ben diversa”.

Un mosaico di interessi predatori

Le fiamme del conflitto nel quadrante orientale sono alimentate da un intrico di fattori: presenza di decine di bande armate, dispute per il controllo territoriale e competizione feroce per l’accaparramento dei giacimenti minerari della zona. Nonostante gli sforzi diplomatici e la presenza di caschi blu, l’area rimane una polveriera pronta ad esplodere.

Il grido d’allarme lanciato dalla numero uno dell’esecutivo congolese presso il Consiglio ONU rappresenta un appello disperato alla comunità mondiale affinché intensifichi gli interventi per pacificare la regione e proteggere i civili inermi.

Un territorio maledetto dalle sue ricchezze

Questa carneficina si inserisce in un contesto di instabilità endemica che affligge le provincie orientali da decenni. Questi territori, ricchissimi di minerali strategici come coltan, giacimenti auriferi e diamantiferi, sono diventati terreno di caccia per innumerevoli formazioni paramilitari che si contendono ferocemente le risorse. Numerosi osservatori internazionali denunciano l’ombra di potenze regionali limitrofe, accusate di foraggiare sottobanco diverse milizie attive nell’area.

I distretti più martoriati risultano essere Nord Kivu e Ituri, dove i paramilitari del Movimento 23 Marzo hanno moltiplicato le incursioni. Questo gruppo in particolare è oggetto di pesanti sospetti circa presunti legami con Kigali, accuse sempre respinte dal governo ruandese ma che continuano ad avvelenare le relazioni diplomatiche nell’area dei Grandi Laghi africani.

Una catastrofe umanitaria di proporzioni bibliche

L’esodo forzato rappresenta un’altra piaga della crisi. Secondo i rilevamenti dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati, oltre sei milioni di congolesi sono attualmente sfollati all’interno dei confini nazionali, mentre centinaia di migliaia hanno cercato scampo oltreconfine.

Gli insediamenti improvvisati per i profughi versano in condizioni disperate, con penuria cronica di derrate alimentari, acqua potabile e assistenza medica, trasformandosi in focolai di epidemie come colera e morbillo.

Le organizzazioni umanitarie presenti sul campo documentano inoltre un’impennata negli stupri di guerra sistematici, con donne e minori come bersagli privilegiati. Nonostante il dispiegamento della MONUSCO, il contingente ONU nella RDC, la protezione dei non combattenti resta una chimera.

Vie d’uscita e richieste d’aiuto

La Premier congolese ha ribadito l’imperativo di ristabilire la legalità nelle zone teatro delle violenze e ha implorato un intervento più incisivo della comunità internazionale per estirpare le radici profonde dell’instabilità. “Necessitiamo non soltanto di soccorsi immediati, ma anche di un impegno pluriennale per la ricostruzione del tessuto sociale e lo sviluppo delle nostre collettività”, avrebbe dichiarato nel suo intervento a Ginevra.

La tragedia che si consuma nell’est congolese costituisce una delle peggiori emergenze umanitarie dimenticate del pianeta. Il bilancio di settemila morti nei primi due mesi dell’anno sottolinea l’urgenza di individuare strategie politico-diplomatiche per arrestare un conflitto che continua a infliggere tormenti indicibili alla popolazione locale.

Mentre la comunità mondiale è chiamata a un intervento più deciso, cresce il timore che, in assenza di un cambio di paradigma nell’approccio alla crisi, la spirale di violenza possa degenerare ulteriormente nei mesi a venire.

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Eugenio Cardi
Eugenio Cardi
Scrittore, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato ad oggi dodici romanzi, pubblicati in Italia e all’estero

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