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Gualtieri e la città salotto che nasconde i poveri

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A Roma, il Sindaco Gualtieri, dopo essere stato invisibile per mesi, si rilassa tra inaugurazioni e video promozionali sull’abbellimento estetico delle città per eventi, mascherando l’espulsione delle classi popolari e favorendo una rigenerazione urbana a uso turistico. Il potere politico vede nelle città un’opportunità, nella commistione solita tra politica e affari..

Gualtieri e la città salotto

Dopo mesi di rigida trasparenza, il Sindaco di Roma Roberto Gualtieri ora appare rinfrancato tra inaugurazioni e spensierati video promozionali.

La ghiotta occasione giubilare ha permesso alla giunta di spendersi nell’attività preferita dei comuni post-moderni: adornare esteticamente le città grazie all’occasione del grande evento.

Nel caso di specie, abbellire le passeggiate con innumerevoli piazzette adibite a salottini, incantando l’occhio umano con l’illusione di un trompe-l’œil.

Dietro quell’entusiasmo, a dire il vero un po’ adolescenziale, del sindaco, si nascondono consueti meccanismi di espulsione delle classi popolari dal tessuto cittadino. Traspare un’allegrezza decisamente reazionaria.

La passione per le zone di pregiata intensità residenziale, sempre più esclusive ed escludenti, non permette la costruzione di politiche imperniate su una minima giustizia territoriale.

Ogni piazzetta rinfrancata dal pubblico decoro, da un certo sapore viennese impreziosito da un pizzico di charme parigino, stile ormai diffuso e indistinguibile in ogni angolo del globo, favorisce quella commistione tra pubblico e privato che determina il propagarsi sistematico delle birrette e dei localini da movida turistica, del “management della partecipazione” promosso dalle fondazioni bancarie in partenariato con il pubblico che riqualifica zone in ottica speculativa e della rigenerazione urbana a uso e consumo degli airbnb con relativa esplosione degli affitti.

Il tutto in un clima culturale dove Milano può permettersi di sperimentare l’espulsione formale dalle zone rosse dei cittadini indesiderati, in una rivisitazione medioevale del territorio. I reprobi fuori dalle mura.

Questo tipo di protagonismo pubblico è l’elemento centrale che rende allettante, per le forze politiche, la conquista delle grandi città. Ed è il motivo specifico della rabbia bipartisan che colse impreparata, per quel livello di violenza verbale, la fiduciosa Virginia Raggi. Il suo peccato originale, da espiare senza pietà, fu di annullare la candidatura romana alle Olimpiadi.

L’inferno si scatenò contro di lei grazie a un’impalcatura comunicativa costruita dalla triade Pd/Fratelli d’Italia/palazzinari. Dalle colonne dei loro giornali, da siti internet dal tono brutalmente sarcastico che disvelavano una veemenza tipicamente squadrista, si sputava bile per il tradimento del celebre modello Roma.

Quel prototipo di gestione amministrativa, consolidato in anni di squisite frequentazioni tra un delimitato settore democratico e vecchi ma genuini camerati che spiega sia l’accondiscendenza della Presidente del Consiglio nei confronti del Sindaco di Roma che l’improvvisa efficienza collaborativa delle aziende municipalizzate.

Quella commistione affaristica e amicale che, solo qualche anno fa, riempì le cronache giudiziarie. Ma la memoria si sa, mai come in questo periodo storico, è decisamente corta.

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Ferdinando Pastore
Ferdinando Pastore
"Membro dell'esecutivo nazionale di Risorgimento Socialista, ha pubblicato numerosi articoli di attualità politica incentrati sulla critica alla globalizzazione dei mercati e sui meccanism di funzionamento dell'Unione Europea. Redattore dell'Interfenreza e editorialista de Il Lavoro"

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