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Un paese condannato alla servitù, che non vuole costruire un’alternativa alla precarizzazione dell’esistenza, alla schiavitù, allo sfruttamento vampiresco verso i più deboli.
Caporalato, lavoro povero, sfruttamento…
Mattarella disse una volta che contro il caporalato ci vogliono sanzioni. A parte che le sanzioni ci sono, ma anche se volessimo inasprirle, sono spesso inapplicabili.
Per la stessa ragione per cui è impossibile scovare tutti i reati e per cui non riesci a contrastare gli abusivismi diffusi e le mafie, perché non hai né puoi avere un controllo così capillare del territorio, perché piuttosto si dovrebbe intervenire sui codici di riproduzione dei fenomeni. Che sono economici ma anche culturali e/o comunque strutturali.
Nessuno dice che l’unica soluzione è costruire un’alternativa a questo lavoro, alla precarizzazione dell’esistenza, alla schiavitù. È stato il grande fallimento della politica italiana, di tutte e tre le repubbliche, non rinvenire un’alternativa alla schiavitù del lavoro fisso come a quella del lavoro precario che non consente di dare vita a famiglie, relazioni amicali stabili, un minimo di stabilità emotiva, di serenità, di sicurezza, compresa quella di poter tornare a casa vivi.
Non abbiamo voluto il reddito di cittadinanza, e va bene, era demagogico, favoriva i furbi, ecc. (eppure da decenni si parlava di una disoccupazione strutturale come dato ineliminabile di questa fase del capitalismo o post capitalismo, e di reddito di cittadinanza io ho sentito parlare anni fa, per dire, Craxi, un giovane Bassolino, sindacalisti ed economisti, filosofi di diverse ideologie che riflettevano sulla fine del lavoro).
Non abbiamo un progetto di rilancio dell’industria, anche se avremmo bisogno di infrastrutture, collegamenti, ecc.. Una industria, anche leggera, è una condizione essenziale di un paese moderno. E noi avremmo potuto puntare sul design, sulla progettazione, sui servizi, l’innovazione, la ricerca, ché sforniamo laureati che vanno fuori e fanno faville, contribuendo allo sviluppo di altri paesi.
Il turismo? Ok, ok, dà i suoi benefici, ma si può pensare che possiamo trasformarci tutti in cuochi e guide turistiche o gestori di b&b?
Ci può e deve essere uno spazio anche per le manifatture, che non vuol dire necessariamente schiavismo e inquinamento.
È inutile dire che la nostra posizione nel Mediterraneo, con quella politica, cosiddetta “terzista”, storicamente affermatasi nel nostro paese dal dopoguerra, che ci rende o rendeva ponte tra Occidente e Oriente, dunque protagonisti e beneficiari di uno scambio culturale e commerciale, è oggi resa fragile da una situazione internazionale conflittuale che subiamo.
L’invasione della Libia, le cosiddette primavere arabe, che hanno reso instabile l’area nord africana, il nuovo conflitto tra Usa da un lato e Russia e Cina dall’altro, con l’Europa sempre meno autonoma, sono lo scenario che fa da sfondo e contribuisce in larga misura a produrre quello che abbiamo sotto gli occhi, dal ragazzo che muore mentre viene sfruttato dal caporale di turno ai bonificatori che incendiano montagne per costruirsi lavoro.
No, le chiacchiere sindacali contro il lavoro nero al concerto del Primo Paggio o il Presidente della Repubblica che chiede più repressione non ci salveranno, lo sanno anche loro, lo sanno benissimo ma, capiamolo, non è facile essere succubi. In un paese che, nonostante tanti sforzi di molti, sembra condannato alla servitù.
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