Calenda sta dettando le sue condizioni a tutti, dall’alto del suo misterioso peso elettorale. Non gli va bene niente tranne se stesso. E infatti vorrebbe candidarsi premier. Ma i voti?
Calenda mette veti a tutti, tranne a se stesso
Carlo Calenda è un leader immaginario, come il grande centro, fulcro del Patto Repubblicano, di cui vaneggia da settimane. Cioè l’idea propinata dai soliti noti che occorra ricostituire e guidare una forza politica alternativa alla destra, alla sinistra e ai ‘populismi’.
Perchè questa necessità? La risposta è un totem della politica italiana: perchè “le elezioni si vincono al centro”. Questo principio va assunto come motto di spirito, come dogma, va accolto così com’è, indipendentemente dai numeri, dai fatti: è così e basta. Lo dicono loro.
Loro chi? I centristi e la grande stampa che li ama. Abbiamo illustri rappresentanti del progetto “grande centro” , con percentuali elettorali condominiali, che vengono intervistati ogni 3 minuti, stanno in tv tutti i giorni, indicano la via e la strategia.
Roba che se dedicassero lo stesso spazio a partiti come Potere al Popolo, Rifondazione et similia, oltre che al “grande centro” si parlerebbe già di “pericolo soviet”, ma questi son dettagli.
Ovviamente tutto questo è spiegabilissimo con la strategia parassitaria di quest’idea politica, che punta esplicitamente alla palude istituzionale, eliminando le ali estreme, sapendo che la destra vincerà le elezioni facilmente, ma avrà difficoltà enormi a governare , e dunque l’importante è esserci, pronti a entrare in gioco in qualsiasi momento.
In questa fase Calenda è il più cercato dalle tv, come fosse il nuovo che avanza, nonostante sia già stato dentro montezemoliano in Confindustria e Ferrari, a Sky, poi con Monti, poi viceministro di Letta e Renzi, poi Europarlamentare eletto col Pd e poi scaricato- ma conservando la poltrona- per formare il suo “Azione”.
E Calenda sta dettando le sue condizioni a tutti, dall’alto del suo misterioso peso elettorale. Ha fatto sapere che non vuole interloquire con le “frattaglie di sinistra” tipo Fratoianni, nemmeno con gli altri centristi immaginari di Di Maio, e che non gradisce Letta come candidato leader. Al limite, tossendo distrattamente, se Draghi non volesse essere il candidato, lo può fare lui stesso. L’ha detto veramente.
“Noi pensiamo a un governo Draghi bis con una forte componente riformista e ci candidiamo a far questo, ma un Paese non si può fermare solo ad una persona. Per cui se domani Draghi dicesse che non è disponibile, allora mi candiderei io. “
Carlo Calenda sembra non accontentarsi mai. Nemmeno con sé stesso.
In una sua fase tardo ministeriale si produsse in una affascinante e aulica confessione: per 30 anni ho ripetuto le cazzate del liberismo.
Affidabile no? Ora ha cambiato idea e con il suo Patto Repubblicano siglato con +Europa, è tutto schierato con l’Agenda Draghi, cioè il non plus ultra del liberismo.
Dunque cosa vuole Calenda? I più subdoli suggeriscono che si tratti di poltronite acuta, una vecchia sindrome democristiana.
Ma qui arriviamo alle note dolenti: il più grosso problema per il progetto politico di centro resta quello dei voti che mancano. Già, perchè nonostante la presenza ossessiva in tv, sui giornali e le orde di influencer che lo fanno apparire dominante sui social, nessuno sa quale sia la reale presa elettorale del leader di Azione.
Ha avuto un buon risultato a Roma, con un 17% che comunque lo ha tenuto fuori dal ballottaggio. Ma a livello nazionale?
Appena terminate le elezioni amministrative del 12 giugno il Corriere lo ha intervistato (strano, vero?): “Calenda è soddisfatto del risultato?”
La risposta è un capolavoro che racchiude tutto quello che abbiamo detto fino ad ora, in termini numerici: “Abbiamo un’affermazione che va dal 10 al 25%, se si considerano L’Aquila, Palermo, Catanzaro e Parma, i quattro capoluoghi di provincia in cui noi abbiamo fatto la scelta molto radicale di andare da soli”.
Se invece vi va di perdere qualche istante e andate a leggere i risultati reali su Youtrend, in quelle città Calenda, con il collaudato sistema renziano, ha appoggiato candidati arrivati secondi o terzi insieme ad altre liste, o non ha presentato il simbolo. Il risultato reale a livello nazionale è stato lo 0,4%.
Siamo di fronte a una vera supercazzola che nasconde lo scappellamento a destra, contrariamente a quello a sinistra del conte Mascetti.
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