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Calenda, Picierno and co: democrazia sì, ma solo se obbedisci

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Calenda, Picierno ed epigoni vari, rappresentano l’élite liberal che invoca ordine e censura contro il dissenso popolare. Tra bellicismo, tecnocrazia e riscrittura della storia, emerge una deriva autoritaria mascherata da democrazia. Ma la realtà resiste.

Calenda, Picierno and co: la voglia di dittatura (liberale)

C’è un sentimento che attraversa trasversalmente una parte consistente dell’élite politica e intellettuale italiana: il fastidio profondo, viscerale, per il dissenso. Lo si percepisce nella voce che trema d’indignazione ogniqualvolta una folla osi criticare le scelte di guerra, le privatizzazioni mascherate da riforme, le diseguaglianze crescenti.

È la stizza di chi vorrebbe un Paese pacificato a colpi di editoriali e trattati commerciali, dove il consenso popolare venga sostituito da un algoritmo di governance “responsabile”. È la voglia di dittatura liberale.

Carlo Calenda, ex ministro, ex ambasciatore del mondo produttivo presso sé stesso, oggi leader di un partito costruito su misura – Azione – incarna alla perfezione questa tensione tecnocratica. Il suo pensiero, espresso con sempre maggiore sfacciataggine, è chiaro: per governare il Paese, per esempio, bisogna “cancellare” il Movimento 5 Stelle, annullare il dissenso populista, rieducare la massa amorfa che non si lascia sedurre dal fascino degli F35 e dalle conferenze sul debito pubblico sponsorizzate da Confindustria.

In un Paese che, dal 2008, ha perso quasi il 10% del potere d’acquisto reale dei salari, dove l’industria è in declino da 26 mesi consecutivi, dove milioni di cittadini vivono una quotidiana precarietà economica, la risposta dell’élite liberal non è la redistribuzione, ma l’ordine. Non il conflitto sociale, ma il disciplinamento.

Per i Calenda e le Picierno, l’unico nemico reale non è la povertà, ma l’irrazionalità del popolo. I problemi del presente non deriverebbero da scelte politiche fallimentari, ma dalla disinformazione: se gli italiani soffrono, è perché sono stati manipolati dalla propaganda russa.

Armi, censura e algoritmi: il nuovo volto della democrazia

Il paradosso è evidente. Da un lato, ci viene raccontato che l’Occidente è un baluardo di libertà, cultura, democrazia liberale. Dall’altro, quando i popoli dell’Occidente non votano come si deve – cioè secondo le aspettative di Bruxelles e Washington – diventano oggetto di disprezzo, paternalismo e psicoanalisi spiccia. Sono pusillanimi, ignoranti, manipolabili. Non capiscono che l’unica pace possibile è quella armata, che la vera democrazia è quella garantita dagli F35 e dagli uomini dell’Israel Defense and Security Forum.

Calenda, in questo senso, è il perfetto portavoce dell’ideologia liberal-bellicista. Nel 2022 garantiva che Putin sarebbe stato messo all’angolo entro dicembre; nel 2023 invocava l’invio continuo di armi per sconfiggere la Russia; nel 2025 si limita a deridere chi aveva posto dubbi sull’escalation. Chiunque parli di diplomazia viene etichettato come complice del nemico. In questa visione, il pluralismo è tollerato solo se sterile; l’unico dissenso legittimo è quello che non incide.

Ma Calenda non è solo. A fare da contrappunto, in una sinfonia di parossismo atlantista, troviamo figure come Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo, esponente di quel PD post-ideologico che, da tempo, ha smesso di rappresentare le classi popolari per trasformarsi in megafono delle oligarchie europee.

Le cronache raccontano di suoi incontri a Bruxelles con uomini dell’apparato militare israeliano – gli stessi che difendono con le armi le colonie illegali in Cisgiordania – in nome della “difesa della democrazia”. Una democrazia, evidentemente, sempre più distante dai suoi principi fondativi.

Questa ossessione per l’ordine e per la legittimità istituzionale, declinata in chiave militare e repressiva, è il volto della nuova dittatura liberale. Una dittatura senza manganelli ma con algoritmi, senza censura ma con narrazioni monolitiche, senza tortura ma con guerra psicologica e marginalizzazione sociale. È il sogno di un’Europa senza conflitto, senza storia, senza umanità. Dove tutto si tiene in equilibrio, finché il mercato regge.

Contro la “cazzullata” dell’ordine: il dissenso è vivo

L’editoria dominante, con figure come Aldo Cazzullo, partecipa attivamente alla costruzione di questa narrazione. Nelle sue riletture sempre più spericolate della storia, la sconfitta del nazi-fascismo viene attribuita ai conservatori colonialisti inglesi e francesi, mentre l’Unione Sovietica e Roosevelt diventano comparse.

È una riscrittura utile: se la civiltà occidentale è nata dall’imperialismo e non dalla resistenza, allora anche l’Unione Europea può essere difesa con metodi autoritari e reazionari. È la cazzullata del secolo.

Ma nonostante i salotti, le televisioni, gli editoriali e le passerelle, la realtà resiste. Come dimostrano i sondaggi, la maggioranza degli italiani rifiuta il bellicismo. Non crede alle narrazioni di Washington, non si lascia incantare dal mito dell’austerità, non accetta di vivere in un Paese in cui la democrazia vale solo se vota nel modo giusto. E questo fa impazzire i Panebianco, i Calenda, i Picierno: perché capiscono che l’unico vero nemico che temono non è un autocrate straniero, ma il risveglio della coscienza collettiva.

L’ideologia liberal-autoritaria è un castello di carta: regge solo se nessuno soffia. Ma il vento, prima o poi, arriva. E allora, sarà tempo di farli tornare dove meritano: a casa.

 

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Marquez
Marquez
Corsivista, umorista instabile.

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