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Basta revisionismo: Auschwitz fu liberata dai sovietici

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La liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, simbolo del genocidio perpetrato durante la Seconda Guerra Mondiale, è un evento che, seppur universalmente ricordato, merita un’analisi storica rigorosa per comprendere meglio le circostanze in cui avvenne e chi ne furono i protagonisti, per sfuggire all’ondata di propaganda e revisionismo in atto da anni, per giustificare le politiche antirusse dell’Occidente.

In questo quadro, che ha visto trasformare il “Rogo di Odessa” in un incidente domestico, i ‘banderisti’ in lettori di Kant, si è arrivati articoli (l’ineffabile Linkiesta su tutti) in cui si sosteneva che a liberare Auschwitz non fu l’Armata Rossa, ma un sedicente esercito ucraino. E dunque il paradosso finale è che alla commemorazione per la liberazione di Auschwitz la Russia non è invitata, un paese che come parte dell’Unione Sovietica subì oltre venti milioni di morti per sconfiggere il nazismo, ma sono presenti i rappresentanti degli Stati Uniti, che al termine della seconda guerra mondiale diedero rifugio a oltre 1600 nazisti.

Parliamo dell’operazione Paperclip, un programma segreto della Joint Intelligence Objectives Agency (JIOA), condotto soprattutto dagli agenti del CIC. Durante questo progetto, oltre 1.600 scienziati, ingegneri e tecnici tedeschi, tra cui Wernher von Braun e il suo team del missile V-2, furono trasferiti dalla Germania nazista negli Stati Uniti per essere impiegati dal governo americano, principalmente tra il 1945 e il 1959. Tra loro vi erano ex membri del Partito nazista ed ex leader.

Auschwitz: il ruolo dell’Armata Rossa

Il 27 gennaio 1945, le truppe dell’Armata Rossa entrarono nel campo di Auschwitz, situato nei pressi della città polacca di Oświęcim. L’avanzata verso il campo fu condotta da un reparto comandato da Anatolij Shapiro, un ufficiale dell’Armata Rossa originario della regione di Kharkiv, nell’attuale Ucraina.

Shapiro era ebreo e faceva parte di un esercito multietnico, il Fronte Ucraino, che prendeva il nome dall’area geografica in cui operava, ma non aveva un’identità nazionale definita come quella odierna.

Il Fronte Ucraino era composto da centinaia di migliaia di soldati, con una forte componente ucraina, ma anche con una presenza significativa di russi, bielorussi e altre etnie. Si stima che circa il 40% delle sue forze provenisse dall’Ucraina.

Nonostante ciò, attribuire la liberazione di Auschwitz esclusivamente a un gruppo nazionale è una semplificazione storica. All’epoca, i soldati combattevano per un’entità sovranazionale, l’Unione Sovietica, in cui l’identità nazionale era subordinata all’ideologia comunista.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la liberazione di Auschwitz non fu un obiettivo dichiarato dell’Armata Rossa. Come sottolineato dalla storica Antonella Salomoni nel libro L’Unione Sovietica e la Shoah, i comandanti sovietici non erano stati informati della natura del campo. L’avanzata verso il campo avvenne nell’ambito di una più ampia operazione militare finalizzata a liberare l’area di Oświęcim e spingere il fronte verso la Germania.

Secondo le testimonianze, furono quattro soldati sovietici, avanzando in ricognizione, a trovarsi per primi davanti ai reticolati di Auschwitz. Il loro stupore e il loro silenzio, come descritto dallo scrittore Primo Levi, riflettono la totale impreparazione di fronte all’orrore incontrato. Solo successivamente arrivarono le forze principali del reparto di Shapiro.

Auschwitz è divenuto, nel corso dei decenni, un simbolo universale dell’orrore umano, rappresentando l’abisso morale a cui il nazifascismo ha condotto l’umanità. Tuttavia, è importante distinguere il valore storico della liberazione dalle sue reinterpretazioni propagandistiche che alimentano revisionismi o letture semplicistiche degli eventi.

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