Con una norma inserita in extremis nella manovra, il governo Draghi aumenta gli stipendi per i massimi dirigenti della pubblica amministrazione, dai manager ai burocrati dei ministeri. E non è tutto: contrariamente a quanto dichiarato dal premier, il cosiddetto taglio delle tasse porterà a una riduzione del prelievo molto maggiore per i redditi medio-alti.
I veri numeri del taglio delle tasse: la riforma premia i dirigenti, meno soldi agli operai
Nella conferenza stampa di fine anno, di fronte ad una platea di giornalisti in modalità Pyongyang, Mario Draghi aveva dichiarato: “I principali beneficiari della riforma fiscale sono i pensionati ed i lavoratori a reddito medio basso”.
L’Ufficio bilancio della Camera lo ha smentito dimostrando che della cosiddetta riforma si avvantaggeranno i redditi medio alti. Infatti un operaio riceverà da essa mediamente 162 euro all’anno, un suo dirigente 368 in media, in alcuni casi fino a oltre 700.
L’esatto contrario di ciò che ha annunciato il Presidente del Consiglio. E questo, è bene ricordarlo, di fronte ad un aggravio del costo della vita stimato mediamente in 1600 euro all’anno a famiglia. La riforma fiscale dà pochi soldi a tutti e meno ancora a chi ne ha più bisogno.
Lo studio dell’Upb ha il pregio di calcolare l’impatto sui contribuenti reali. Ovvero è stato effettuato in base alle caratteristiche della popolazione e delle famiglie oltre che sui redditi attualmente percepiti.
E chiarisce che il 20% delle famiglie più povere è sostanzialmente escluso dai benefici per effetto dell’incapienza fiscale. E quindi il 50% dei nuclei in condizione economica meno favorevole «beneficia di circa un quarto delle risorse complessive (circa 1,9 miliardi), mentre il 10% più ricco beneficia di più di un quinto delle risorse (1,6 miliardi)». Un quarto delle famiglie in condizione economica meno favorevole è di fatto escluso dall’ambito di applicazione dell’Irpef a causa dell’elevato livello dei redditi minimi imponibili e quindi non è coinvolto dalla revisione dell’Irpef.

A questo si aggiunge il blitz sugli stipendi dei supermanager pubblici. Anziché aprire una discussione chiara e trasparente sulla materia il governo ha deciso di operare un vero e proprio colpo di mano.
Con le nuove regole, il limite dei 240mila euro lordi attuale, potrà essere superato a partire dal 2022. La norma approvata con la legge di bilancio stabilisce che a fissare la percentuale dell’aumento sia l’Istat, sulla base di un calcolo che prende a riferimento l’adeguamento annuale degli stipendi dei docenti universitari, dei vertici delle forze armate e delle prefetture e del corpo diplomatico.
Dunque il governo continua ad operare a senso unico in materia di lavoro ed economia e può farlo tranquillamente per lo smodato servilismo del sistema politico e mediatico nei suoi confronti.
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