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Povertà record nell’Argentina di Milei ma si celebra il “liberalismo estremo”

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Un mese fa, il 1° marzo 2025, il presidente argentino Javier Milei ha annunciato un accordo con il Fondo Monetario Internazionale (FMI), accompagnato da una proposta di legge destinata a trasformare il surplus fiscale in un pilastro della politica economica nazionale.

L’obiettivo di Milei è chiaro: ridurre il peso dello Stato sull’economia, stabilizzare le finanze pubbliche e, gradualmente, rimborsare il debito pubblico. La strategia, tuttavia, si manifesta in un radicale abbassamento della spesa pubblica, destinata a ridursi al 25% del Prodotto Interno Lordo (PIL) entro il 2027.

Seppur in apparenza promettente, questo piano presenta costi sociali enormi che colpiscono le fasce più vulnerabili della popolazione.

Povertà record nell’Argentina di Milei

L’accordo con il FMI e le politiche economiche di Milei rispondono alla necessità di rafforzare le riserve della Banca Centrale e introdurre un sistema di cambio più flessibile. Ma l’effetto principale del programma sarà la riduzione drastica del ruolo statale nell’economia: si prevede una massiccia privatizzazione di settori strategici, tra cui energia, autostrade e ferrovie, e un progressivo smantellamento del welfare pubblico.

Le misure prevedono anche il licenziamento di migliaia di lavoratori statali e l’eliminazione di qualsiasi tipo di sostegno alle fasce più povere della popolazione.

Il governo si vanta di aver registrato nel 2024 un surplus fiscale, dopo oltre 15 anni di recessione, e di aver ridotto l’inflazione. Tuttavia, non vengono mai menzionati i costi umani di queste politiche.

Attualmente, il 54,5% della popolazione argentina vive sotto la soglia di povertà, i pensionati si trovano in difficoltà a causa della riduzione del sistema pensionistico e le grandi città, come Buenos Aires, sono invase da folle di senzatetto.

Le disparità sociali si ampliano, mentre il governo prosegue la sua corsa a favore del mercato libero, pur ignorando le gravi disuguaglianze create.

Una delle principali criticità del piano di Milei riguarda il settore della salute e dell’istruzione. Le sue politiche di privatizzazione e il taglio dei fondi destinati alla cultura, all’ambiente e all’istruzione pubblica sembrano ignorare il valore di questi settori come diritti fondamentali della cittadinanza.

Il governo ha anche rimosso il controllo sui canoni degli affitti e sui prezzi di beni essenziali come carburante, farmaci e assicurazioni sanitarie, favorendo l’intervento del mercato e lasciando che i più vulnerabili subiscano le conseguenze di un aumento vertiginoso dei costi.

Negazionismo e criminalizzazione delle resistenze sociali

A questa politica economica si aggiunge un altro aspetto controverso, che riguarda la gestione della memoria storica e la posizione del governo nei confronti della dittatura degli anni ’70.

La vicepresidente, Victoria Villaruel, figlia di un ufficiale della dittatura, ha adottato una retorica negazionista che ha portato alla criminalizzazione delle proteste e all’attacco a luoghi simbolo della memoria, come l’ex ESMA, il centro clandestino di detenzione che è diventato un simbolo della lotta per i diritti umani.

Questa visione revisionista della storia, che minimizza le atrocità della dittatura militare, è accompagnata da un tentativo di riscrivere la narrazione ufficiale, giustificando la repressione con il pretesto della lotta contro il terrorismo.

Sul fronte sociale, la politica di Milei si è concentrata anche sul cosiddetto “nemico interno”, ovvero le comunità indigene, in particolare i Mapuche. Questi, accusati dal governo di essere responsabili degli incendi che stanno devastando la Patagonia, sono oggetto di un’intensa campagna di demonizzazione. Mentre il governo giustifica la sua inattività nella lotta contro gli incendi, si moltiplicano le aggressioni e le violenze contro le popolazioni indigene, accusate ingiustamente di essere artefici di un disastro ecologico che ha radici ben più profonde: la gestione fallimentare delle risorse naturali e la speculazione immobiliare.

In Patagonia, la speculazione territoriale sta prendendo piede, con ingenti investimenti provenienti da gruppi come Benetton e dai paesi del Golfo, che vedono nella regione un terreno fertile per il turismo di lusso e l’estrattivismo. Le terre indigene vengono progressivamente sottratte, mentre le comunità Mapuche, che difendono da secoli il loro territorio, sono ostacolate e criminalizzate.

Le fiamme che distruggono i boschi vengono attribuite erroneamente ai Mapuche, ignorando il fatto che il governo ha impiegato solo una parte dei fondi destinati alla protezione ambientale, e che alcuni degli incendi sono in realtà frutto di pratiche irresponsabili legate agli interessi economici.

L’argomento della memoria storica e la marginalizzazione dei popoli indigeni sono temi interconnessi che esprimono una visione del mondo in cui il profitto e la speculazione prevalgono sui diritti umani e sulla tutela dell’ambiente. Milei e la sua amministrazione, attraverso un approccio autoritario e neoliberista, cercano di consolidare il loro potere rifiutando di affrontare le questioni sociali e ambientali che segnano l’Argentina contemporanea.

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