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L’Occidente ha perso credibilità: doppi standard, ipocrisie e guerre hanno generato un odio profondo. Non è più solo geopolitica: è energia distruttiva. In Italia cresce un malessere muto e pericoloso. A parlare, presto, sarà la realtà stessa.
Il futuro della guerra e il declino dell’Occidente
Tanto sul piano globale, nello scontro tra il vecchio ordine a guida anglosassone e le nuove potenze emergenti, quanto nella situazione interna del nostro Paese, sarà la realtà – con i suoi tempi e i suoi meccanismi ormai avviati – a imporre la sua verità. E non sarà una verità comoda.
Nei mesi scorsi, c’è chi ha pensato che lanciare appelli pubblici o scrivere analisi significasse alimentare il conflitto, esasperare il clima. Al contrario, si è tentato di avvertire, di rallentare una corsa che sembrava – e sembra ancora – inarrestabile. Ma oggi, con ogni evidenza, il tempo utile per intervenire sembra esaurito.
L’ultimo, scriteriato attacco congiunto di Stati Uniti e Israele all’Iran ha cambiato qualcosa di profondo: l’Occidente ha perso ogni residuo di credibilità presso ampie porzioni del mondo. Troppi doppi standard, troppe ipocrisie. Si parla di diritti umani, di valori, di democrazia, mentre si sostiene – con un fronte compatto – il massacro in corso a Gaza.
Fuori dal “giardino” euro-atlantico cresce, in modo ormai incontrollabile, un risentimento feroce verso questa arroganza. E non si tratta solo di geopolitica. L’odio, oggi, è diventato una forza storica attiva, capace di generare un’energia distruttiva.
La guerra non è un esercizio teorico, né un’astrazione televisiva. È violenza concreta, è vita spezzata. Uccidere o essere uccisi. E per uccidere, bisogna odiare. L’odio annulla la pietà, svuota l’empatia. Ciò che verrà, non sarà accompagnato da spiegazioni né da fiori. Sarà la conseguenza – dura e diretta – delle nostre omissioni.
E anche l’Italia non resterà immune. Il vero pericolo non è rappresentato da qualche post provocatorio o da una passerella televisiva, ma da qualcosa di più profondo e più inquietante: l’odio impotente che cresce nel Paese, alimentato dal disagio sociale, dall’assenza di rappresentanza, dalla frustrazione diffusa. È un malessere che, per ora, non trova voce, ma che cova.
Le guerre cominciano sempre con discorsi altisonanti e facili entusiasmi. All’inizio sembrano film. Ma quando arrivano a incidere realmente sulle vite delle persone, il quadro cambia radicalmente.
Si crede, ingenuamente, che demolendo quel poco che resta della sfera pubblica e del pluralismo si possa placare tutto questo. È un errore strategico. La domanda che dobbiamo porci è: cosa rimane dopo la distruzione del confronto democratico? La risposta, al momento, non offre alcuna speranza.
Esiste oggi una classe dirigente – politica, intellettuale e mediatica – convinta di avere un disegno chiaro. Ma quel disegno conduce al baratro. E il problema è che questa classe è impermeabile, autoreferenziale, sorda. Chiusa nel proprio delirio.
Non resta che osservare, impotenti, lo scorrere degli eventi, tanto in Ucraina quanto nel nostro Paese. L’unica parola definitiva non verrà da proclami o editoriali. La pronuncerà, come sempre, la realtà.
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