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Nel suo primo discorso importante come segretario generale della NATO, Mark Rutte ha tracciato una linea netta per il futuro dell’Europa: una transizione verso una “mentalità da tempo di guerra”. Dichiarazioni preoccupanti, in una logica di scontro perenne verso le potenze emergenti e di autovassallaggio senza condizioni alla difesa degli interessi statunitensi che divergono sempre più da quelli europei.
Mark Rutte e la “dottrina della guerra”
Rutte ha sottolineato che l’Europa destina il 25% della spesa pubblica a sanità, pensioni e previdenza sociale, definendo questa distribuzione delle risorse uno squilibrio rispetto alle esigenze di difesa. La sua proposta? Ridurre la spesa sociale e indirizzare una “piccola frazione” di quei fondi verso il riarmo e lo sviluppo di infrastrutture militari.
Secondo il nuovo segretario NATO, l’Europa ha trascurato la propria industria della difesa per decenni, considerandola un settore di secondaria importanza in un periodo di relativa pace. Ora, però, l’instabilità globale e le minacce crescenti – dalla Russia al riarmo cinese – richiedono un rapido adeguamento alle esigenze di sicurezza.
Critiche alla spesa militare “inefficiente”
Rutte ha anche criticato l’attuale frammentazione dell’industria della difesa europea, definendola troppo “piccola, frammentata e lenta” per rispondere alle nuove sfide. Tra le sue proposte figurano:
- Razionalizzazione della spesa: eliminare sprechi e doppioni tra i Paesi membri (ad esempio, lo sviluppo parallelo di caccia e carri armati di sesta generazione).
- Acquisti comuni: incentivare l’utilizzo di fondi europei per acquistare armamenti da Stati Uniti e Regno Unito.
- Coordinamento industriale: promuovere una maggiore cooperazione tra le nazioni europee per rendere il settore della difesa più efficiente e competitivo.
La visione geopolitica di Rutte
Dietro questa spinta al riarmo c’è la visione di un’Europa che si prepara a tempi difficili. Rutte ha evocato la necessità di giustificare la spesa pubblica principalmente in funzione della tutela dell’Occidente dalle sue minacce globali.
Minacce che però, paradossalmente, contribuisce ad aumentare esponenzialmente con la politica di autovassallaggio senza condizioni alla difesa degli interessi statunitensi che divergono sempre più da quelli europei.
Questa logica di protezione della sicurezza di un modello che ormai è rifiutato dalla gran parte degli stati mondiali esterni al cosiddetto “giardino” evocato da Josep Borrell, diventa la priorità assoluta, persino a scapito delle garanzie sociali che hanno storicamente caratterizzato il modello europeo. Una sorta di o noi o loro, foriero solo di tempi cupi.
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