www.kulturjam.it è un quotidiano online indipendente completamente autofinanziato. Il nostro lavoro di informazione viene costantemente boicottato dagli algoritmi dei social. Per seguirci senza censure, oltre alla ricerca diretta sul nostro sito, iscrivetevi al nostro canale Telegram o alla newsletter settimanale.
L’uso del termine “genocidio” per descrivere la crisi a Gaza ha trovato sempre più consenso tra accademici, istituzioni e osservatori internazionali. Tuttavia, nonostante le prove schiaccianti e il grido d’allarme di chi è impegnato realmente a porre fine a questo disastro, gran parte dell’Occidente continua a minimizzare, giustificare o negare le atrocità commesse, alimentando un negazionismo che evidenzia profonde contraddizioni morali e politiche.
I numeri del genocidio a Gaza e il negazionismo occidentale
Mai termine è stato più controverso nel contesto contemporaneo di “genocidio“, specialmente quando applicato alla dottrina israeliana nei confronti della Palestina.
Esiste un segmento della società, un combinato disposto di media, opinionisti e politica, pronto a tutto pur di negare che ciò a cui stiamo assistendo sia un genocidio. Ma cosa significa davvero “genocidio”?
È la distruzione sistematica e intenzionale di un popolo o di una parte di esso, inclusi i suoi elementi vitali: l’infanzia, le strutture sanitarie, gli archivi storici, le scuole, i luoghi di culto e le altre istituzioni che ne sostengono l’identità e la sopravvivenza
Guardiamo ora i dati sulla situazione a Gaza che sono disponibili a tutti, non sono secretati, basta cercarli nei report delle Nazioni Unite e delle principali testate mondiali. Hanno un solo difetto, paradossale: che sono stimate per difetto ma in ribasso (!). E sono devastanti.
Si parla di circa 150.000 tra morti e feriti, 20.000 bambini mutilati, 2 milioni di sfollati e l’80% delle abitazioni distrutte o danneggiate. Scuole, università, ospedali e persino panetterie sono state prese di mira, con oltre 500 attacchi a strutture sanitarie e 130 ambulanze distrutte. La popolazione vive sotto un blocco che limita l’accesso a cibo, acqua e medicinali, portando il 91% dei gazawi a soffrire di grave o catastrofica insicurezza alimentare.
Questi numeri, supportati da testimonianze di organizzazioni come l’ONU e da scoperte agghiaccianti come fosse comuni contenenti corpi con segni di esecuzioni sommarie, tracciano un quadro che, secondo molti esperti, risponde ai criteri internazionali di genocidio.
Non solo. Per Gaza sono stati coniati anche termini nuovi: culturicidio, storicidio, scuolicidio, medicidio e, ultimo ma ugualmente spaventoso, infocidio, con l’uccisione di quasi 200 giornalisti.
L’accusa di genocidio, una valutazione che trova sempre più consenso
La questione è al centro di un’indagine presso la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), supportata da paesi come Sudafrica, Spagna, Irlanda e altri 80 Stati. Accademici di spicco come Raz Segal, Amos Goldberg e Lee Mordechai hanno definito la situazione un “caso da manuale di genocidio”, mentre organizzazioni come Genocide Watch e il Lemkin Institute for Genocide Prevention hanno adottato esplicitamente il termine. Da ricordare che Lemkin è il nome del giurista polacco che per primo formulò la definizione di genocidio
Questa valutazione è condivisa anche da storici e studiosi che in passato erano più cauti. Omer Bartov, ex soldato dell’IDF, ha recentemente ammesso che le evidenze gli hanno fatto cambiare posizione, dichiarando che le azioni israeliane a Gaza possono essere considerate genocidio. Allo stesso modo, oltre 800 esperti di genocidio e diritto internazionale hanno firmato dichiarazioni che confermano la natura genocidaria delle operazioni militari israeliane.
Il negazionismo occidentale: tra complicità e indifferenza
Nonostante queste evidenze, gran parte dell’Occidente si rifiuta di riconoscere i fatti come genocidio. Governi, media e intellettuali si sono spesso impegnati in un negazionismo sottile ma efficace, ricorrendo a giustificazioni geopolitiche, linguistiche o morali per razionalizzare l’orrore. Le vittime palestinesi vengono invisibilizzate o ridotte a danni collaterali, mentre l’Occidente, intrappolato in narrative tribali ed etnocentriche, evita di confrontarsi con la propria responsabilità.
Come sottolinea il professor Omar Shahabudin McDoom della London School of Economics, il genocidio si definisce attraverso tre criteri: violenza deliberata su larga scala, obiettivi specifici verso un gruppo etnico e misure per impedire la sopravvivenza del gruppo. Le azioni israeliane a Gaza soddisfano pienamente questi criteri, ma l’Occidente si ostina ad applicare i propri paramentri ‘morali’ a convenienza.
Prigioni cognitive ed empatia selettiva
Il negazionismo occidentale, come sottolineato dal professor De Vogli, fonte principale di questa riflessione assieme al professor Ferretti, sottolinea un problema più ampio: la nostra incapacità di attribuire uguale valore alla vita al di fuori delle nostre comunità culturali, religiose o nazionali. Le “prigioni cognitive” del tribalismo e dell’etnocentrismo ci impediscono di empatizzare con chi è diverso da noi.
Questo fenomeno, alimentato da secoli di socializzazione e propaganda, rende difficile riconoscere il genocidio quando le vittime appartengono a gruppi percepiti come “altri”.
Mentre la solidarietà internazionale si attiva prontamente per alcune crisi umanitarie, per altre regna l’indifferenza. A Gaza, l’inerzia dell’Occidente è resa ancora più grave dal fatto che armi e supporto politico utilizzati nelle operazioni militari israeliane spesso provengono proprio dai paesi occidentali.
Le implicazioni morali e politiche
La negazione del genocidio a Gaza non è solo un fallimento morale, ma anche una complicità politica. Continuare a ignorare o minimizzare queste atrocità mina la credibilità dell’Occidente come difensore dei diritti umani e del diritto internazionale.
Inoltre, perpetua un ciclo di violenza e deumanizzazione che impedisce una risoluzione duratura del conflitto israelo-palestinese.
Il genocidio non è un termine da usare alla leggera, ma nemmeno uno da evitare per opportunismo politico. A Gaza, le prove sono chiare, e il silenzio occidentale non è solo assordante: è criminale.
Sostieni Kulturjam
Kulturjam.it è un quotidiano indipendente senza finanziamenti, completamente gratuito.
I nostri articoli sono gratuiti e lo saranno sempre. Nessun abbonamento.
Se vuoi sostenerci e aiutarci a crescere, nessuna donazione, ma puoi acquistare i nostri gadget.
Sostieni Kulturjam, sostieni l’informazione libera e indipendente.
Leggi anche
- Gaza, il ‘Piano dei generali’ non è più negato: sterminare, espellere, reinsediare
- Elon Musk è un genio o una maschera del sistema?
- Liberal-fascismi: è il ’68 delle destre?
- Fascismo americano e altri disastri
E ti consigliamo
- Noisetuners
- Novecento e oggi
- A sud dell’impero. Breve storia della relazione sino-vietnamita
- Sintropie. Mondo e Nuovo Mondo
- Musikkeller, un luogo-non luogo
- Breve guida per riconoscere il “coatto”
- Achab. Gli occhi di Argo sul carcere
- La terra di Itzamnà: alla scoperta del Guatemala
- Kavi: Il Poeta è Vivo
- Dittature. Tutto quanto fa spettacolo: si può essere ironici su temi serissimi e al contempo fare opera di informazione e presidio della memoria?
- Il soffione boracifero: ritorna dopo 10 anni il romanzo cult
- Cartoline da Salò, nel vortice del presente