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L’ invasione russa immaginaria: ovvero come ci prendono per scemi mentre ci tolgono tutto

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L’Europa si prepara alla guerra…non contro la Russia ma contro la propria intelligenza. Nessuno crede davvero all’invasione russa del Vecchio Continente: è solo un alibi per giustificare la folle corsa al riarmo. Perché Putin dovrebbe voler conquistare paesi deindustrializzati, in crisi demografica, inermi e già colonizzati economicamente?

L’ invasione russa immaginaria

In un Paese dove le emergenze si moltiplicano come i talk show, e la memoria storica evapora più in fretta di un bonus edilizio, pare ancora esserci un barlume di lucidità: nessuno – o quasi – crede davvero che Putin stia per invadere l’Europa. Figuriamoci poi l’Italia! Nessuno sano di mente, almeno.

D’altronde, proviamo a metterci nei panni dello Zar del XXI secolo: perché mai dovrebbe gettarsi in un’impresa suicida, coinvolgendo i suoi 145 milioni di cittadini, rischiando un’apocalisse nucleare, per annettere che cosa?

Perché mai Putin dovrebbe invadere la Germania, Paese che si ostina a dismettere il nucleare e a legarsi mani e piedi al gas statunitense, mentre cerca di rimpiazzare la manifattura con la burocrazia verde? O la Francia, dilaniata da proteste cicliche, con mezza banlieue pronta all’insurrezione e l’altra mezza disillusa dalla République? Per non parlare della Spagna, alle prese con tensioni separatiste mai sopite, un’economia basata sul turismo low-cost e una gioventù disoccupata che emigra a Berlino per fare i rider.

Invadere la Grecia, poi, significherebbe accollarsi un paese sfiancato da anni di austerità tedesca, dove l’unica resistenza armata la fanno i pensionati in fila alla farmacia. Il Portogallo? Delizioso, certo, ma talmente spopolato e disindustrializzato che neanche i russi saprebbero dove mettere un blindato.

E la Polonia, pur guerresca a parole, si è già offerta spontaneamente come bastione Nato. Quanto al Benelux, già oggi è una porta girevole per ogni flusso economico-finanziario internazionale: invaderli sarebbe meno utile che aprire un conto offshore.

Insomma, nessun paese europeo ha un valore strategico che giustifichi la follia atomica di una guerra su scala continentale. Solo una propaganda disperata può tentare di convincerci del contrario.

Vogliamo parlare dell’Italia?

E l’Italia? Questa meravigliosa repubblica del Superbonus, dove ci si accapiglia per un cantiere più che per un laboratorio di ricerca? Un Paese senza materie prime, senza una vera industria strategica, popolato da signori d’altri tempi che prediligono il valore immobiliare alla meccanica quantistica, e i fondi pensione alle innovazioni tecnologiche?

Il nostro tessuto sociale, ormai logoro, regge appena grazie a una manodopera migrante invisibile che raccoglie la verdura, accudisce gli anziani, lava le automobili a dieci euro e ringrazia pure. Immaginare che il Cremlino covi brame di conquista su questo scenario equivale a credere che Gengis Khan fosse a caccia di centri benessere.

Eppure, con incredibile disinvoltura, la narrazione dell’”invasione russa” viene impacchettata quotidianamente come una verità incontestabile. Telegiornali, editoriali, dichiarazioni parlamentari – tutti impegnati a recitare il copione della minaccia incombente. Non una parola, invece, sul fatto che questa paranoia confezionata serva solo a giustificare un’impresa ben più concreta e devastante: la folle corsa europea al riarmo.

In Italia si parla ormai apertamente – e senza alcun imbarazzo – di portare la spesa militare al 5% del PIL. Una cifra mostruosa, da economia di guerra totale, che farà a pezzi le ultime briciole del welfare, la sanità pubblica, la scuola, la ricerca. Tutto sacrificato sull’altare della “sicurezza”, concetto ormai talmente deformato da coincidere con l’interesse di industrie belliche transnazionali.

E il bello – si fa per dire – è che lo si fa in silenzio, come se fosse ovvio, naturale, ineluttabile. Nessuna resistenza significativa, nessun dibattito reale. L’opinione pubblica, anestetizzata e confusa, accetta supinamente l’idea che l’unica alternativa all’estinzione sia il moltiplicarsi delle armi. L’orrore si consuma a bassa voce, in giacca e cravatta, tra tecnicismi contabili e interviste rassicuranti.

La verità, però, rimane lì, evidente a chi voglia ancora vederla: la propaganda dell’invasione è un diversivo. Serve a nascondere il fatto che stiamo smantellando, pezzo dopo pezzo, ogni residuo di civiltà democratica. Non per difenderci da un nemico esterno, ma per rendere definitivo il dominio di quelli interni: i nuovi sacerdoti della spesa bellica, dell’economia di guerra, dell’Europa forte con i deboli e servile con l’atlantismo.

E così, mentre nessuno – tranne forse qualche ingenuo irriducibile – crede davvero che i carri armati russi sbarcheranno a Lampedusa, stiamo già vivendo un’altra invasione: quella della menzogna armata, che ci ruba tutto, persino la lucidità.

* Grazie a Gabriele Busti per aver ispirato l’articolo con un suo post.

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Marquez
Marquez
Corsivista, umorista instabile.

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