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L’Italia è tra i pochi paesi ricchi (ma per quanto ancora?) che riescono ad avere il peggio dal pubblico e dal privato contemporaneamente. Questo perché la classe dirigente è stata decapitata consapevolmente al termine della Guerra fredda. Oggi raccogliamo i cocci.
Italia, la totale inadeguatezza della classe dirigente.
Sempre più chiara appare la totale inadeguatezza della nostra classe dirigente.
I politici italiani sembrano in balia degli eventi, non molto meglio i giornalisti o gli imprenditori.
I ricercatori e i docenti universitari sono costretti a lavorare in un mostrificio che ha subito tagli e uno svuotamento del suo significato antropologico (senza nemmeno saperlo poi riciclare nel modello anglosassone ultra-competitivo).
Come tutto in Italia, siamo rimasti al di qua del guado, facendo entrare i privati ovunque, ma senza dare regole, priorità, programmazione.
Siamo tra i pochi paesi (di quelli ricchi) che riescono ad avere il peggio dal pubblico e dal privato contemporaneamente.
Questo proprio perché la nostra classe dirigente è stata decapitata consapevolmente al termine della Guerra fredda.
Checché se ne pensi di Mani Pulite, non fu un gioco a somma zero. Ad oggi le coincidenze cronologiche con l’avvio della campagna di distruzione della proprietà pubblica, del servizio pubblico e di una serie di eccellenze nazionali sembra evidente.
Quello che doveva essere il momento di liberazione, acclamato a sinistra come momento di onestà, spalancò la strada al ventennio berlusconiano, al consociativismo continuamente ricercato dal centrosinistra, alla partecipazione alla guerra in Kosovo e in Iraq nel 2003.
L’IRI non era solo strumento di intervento, ma anche ecosistema strategico per le imprese e il mondo culturale italiano, negli anni d’oro al suo interno vi erano migliaia di ricercatori di alto livello, in un tessuto produttivo pubblico e parallelo a quello universitario/accademico.
Gli stessi privati avevano una genialità tutta loro. Olivetti uno tra tutti, non per mandare avanti una retorica (che detesto) santificatrice dell’imprenditore buono (lo sarà anche stato, non è questo il punto), ma esempio di genialità: il nostro paese produceva PC ad alta prestazione, avevamo la Apple prima della Apple: distrutto, mandato alle ortiche.
Non basta qui dire: siamo paese a sovranità limitata.
I Craxi, i Mattei, gli Olivetti o gli Andreotti non erano dei santi e probabilmente alcune delle conquiste ottenute in quegli anni erano legate alle contingenze storico-economiche (crescita capitalista, mercato in allargamento, popolazione giovane, egemonia USA – da marxista non credo nel ruolo dell’individuo, per quanto geniale), ma avevano trovato un modo per sfruttare al meglio la situazione contingente (con tutti i limiti del caso e al di là delle valutazioni sui singoli).
La classe dirigente odierna sembra invece composta da nani, che tagliano la Via della Seta giocando ad essere forse più realisti del re.
La politica non fa nulla (in tutte le sue manifestazioni, almeno politiche) di intelligente: non abbiamo diritti sociali o civili all’avanguardia, non abbiamo la cura del verde o gli inceneritori, non abbiamo la tutela della scuola, della ricerca o della sanità pubblica. Si fa fatica a capire, come faccia un paese così male amministrato a sopravvivere con condizioni di vita tutto sommato dignitose per i più.
Il giornalismo non risponde alle categorie occidentali dello stesso (non fa nemmeno approfondimento o propaganda -intesa nobilmente come creazione di un senso di appartenenza comune-). L’informazione è una sorta di vuoto a rendere, problema di mezzo mondo certo, ma che qui arriva al grottesco.
Con questo non intendo svilire l’Italia e cedere alla retorica auto-razzista “emigriamo tutti”, che diventa il miglior alibi per non emigrare, lamentarsi e non far nulla.
Io penso che l’Italia (a dire il vero lo penso di ogni comunità umana, piccola o grande) abbia molto da dire e dare ancora, anche nella sua conformazione attuale (che fatalmente prima o poi cambierà, perché nulla è eterno), ma che si debba ripartire da un bagno di realtà, dal capire chi e cosa vogliamo fare del nostro futuro.
La strada è lunga, ma a noi non serve un fuoco di paglia che vinca le elezioni e poi per inadeguatezza si perda in sei mesi, a noi serve una nuova classe dirigente che pianifichi a 30/40 anni, che sappia vedere oltre il presente, problemi oggi ancora da venire o solo al principio.
Solo così potremo ribaltare i problemi in occasioni e magari riprendere in mano il nostro destino, come collettività (migliorando quindi, così, anche la nostra vita individuale).
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