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Il totalitarismo col volto liberale: l’Europa che ci comanda e ci prepara alla guerra

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Le élite denunciano le autocrazie lontane, ma tacciono sul totalitarismo europeo: l’UE impone un dogma economico apolitico, soffoca la democrazia, commissaria l’Italia e prepara la guerra, il tutto in nome della concorrenza, della stabilità e della libertà.

Il nostro totalitarismo: l’Unione Europea

Le tante vedette culturali sempre attente nel denunciare l’assenza di afflato democratico in Iran, in Russia, in Cina e in Venezuela, sempre così aggrottate quando si lanciano in campagne di sensibilizzazione sul diniego alla libertà dei costumi che qualche autarchia ancora tenta di diffondere, sembrano mute, sorde e cieche quando si prova a ragionare sul totalitarismo di casa nostra, quello che non permette l’esplicazione di semplici libertà politiche, magari lasciando all’individuo il permesso di scorrazzare tra le più feconde fantasie.

Spoliticizzare l’economia. Questa locuzione sembra, a prima vista, la definizione di un fenomeno tecnico, quasi impalpabile, poco attinente con i desideri, le aspettative, l’emancipazione di ogni essere umano; ma in realtà una società nella quale l’economia di mercato non è più oggetto di disputa politica, perché costituzionalizzata, non può in alcun modo definirsi democratica, anche se promette una radicale autodeterminazione del singolo per ciò che concerne le sue predilezioni.

Questo perché private della lotta, della coscienza economica e di classe, quelle inclinazioni si rigireranno nel vuoto, in un’euforia inconsapevolmente adolescenziale, e cadranno esauste in una futura approssimazione personale.

A conferma di ciò passa quasi inosservata la solita velina di Bruxelles sui compiti che l’Italia dovrà compiere perché il pedigree dell’inappuntabile nazione neoliberale possa essere esposto con orgoglio.

Il feldmaresciallo Valdis Dombrovskis, a nome di tutto il Reich, afferma, con la pacata violenza verbale tipica della sociopatia da management, che, tutto sommato, l’Italia non ha bisogno di nuove misure di risanamento. E ci mancherebbe dopo trent’anni di avanzo primario nell’ossequioso rispetto dei vincoli di bilancio. Ma che comunque dovrà necessariamente mettere mano al proprio genetico difetto: la spesa improduttiva e l’efficienza dei fondi di coesione.

Detto per chi non vuol proprio capire, l’Italia deve far guadagnare, e tanto, gli investitori esteri che, con spirito ecumenico, hanno investito o vogliono investire nel Paese per sostituirsi alla sfera pubblica. Per cui un altro tassello da implementare in modo che la stima degli stati frugali resti immutata è l’aggregazione tra piccole e medie imprese.

Perché il discorso non lasci adito a dubbi si raccomanda anche un ulteriore passo perché la Pubblica Amministrazione sia modernizzata e resa più efficiente, che insomma sia messa a disposizione della speculazione dei privati.

Il tutto, è chiaro, rispettando la stabilità di bilancio e lo spirito di concorrenza. Cioè quei tasselli costituzionali resi ermetici dal Trattato di Maastricht in poi, che rendono l’Unione Europea una struttura istituzionale al servizio dell’ideologia di mercato.

Sistema aggravato, nella suo totalitarismo, dalle regole che accompagnano l’edificazione del PNRR. Una buona resilienza, difatti, si può ottenere solo con una strettissima vigilanza della Commissione europea, la quale può in qualsiasi momento verificare e stravolgere l’attuazione del Piano se questo non si attiene alla specificità costituzionale dell’Europa Unita.

Così ragionò il nostro maresciallo Pétain in doppiopetto, quel Mario Draghi a capo del governo collaborazionista ideato dal Presidente della Repubblica, che concepì la struttura del nostro PNRR, blindata e resa inamovibile proprio per salvaguardare il corretto andamento del totalitarismo di mercato, oggi indorato dall’ultima raccomandazione europea, quella sulla spesa militare.

Perché dopo averci reso tutti più resilienti, più poveri e più ebeti, l’Europa ha in mente di portare, estaticamente, tutti noi in guerra. Certo, a difesa della libertà. Ovvio.

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parole ribelli, menti libere

 

 

Ferdinando Pastore
Ferdinando Pastore
"Membro dell'esecutivo nazionale di Risorgimento Socialista, ha pubblicato numerosi articoli di attualità politica incentrati sulla critica alla globalizzazione dei mercati e sui meccanism di funzionamento dell'Unione Europea. Redattore dell'Interfenreza e editorialista de Il Lavoro"

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