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Trump impone dazi all’Europa, ma né l’UE né l’Italia reagiscono. Meloni, senza strategia, cerca solo visibilità e pacche sulle spalle. Il Made in Italy rischia un crollo dell’export di 11 miliardi, ma il governo resta immobile, dimostrando totale subalternità.
I dazi reali di Trump e il paese immaginario della Meloni
Dall’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, avvenuta due mesi fa, le relazioni commerciali transatlantiche sono entrate in una fase di crescente tensione.
Durante la sua campagna elettorale, il presidente statunitense aveva chiaramente espresso l’intenzione di imporre dazi sulle importazioni provenienti dall’Europa, una mossa che ora sembra concretizzarsi.
Nonostante queste premesse, né l’Unione Europea né i singoli Stati membri sembrano aver elaborato contromisure efficaci per contrastare tali politiche protezionistiche.
A livello comunitario, la Commissione ha espresso preoccupazione per l’escalation delle politiche commerciali statunitensi. Tuttavia, le risposte concrete tardano ad arrivare. Secondo un’analisi di Policy Maker, l’UE si dichiara pronta a reagire, ma al momento non sono state delineate strategie reali se non dichiarazioni di massima, auspici. Insomma: la situazione è grave ma non seria…
In assenza di una risposta unitaria, i singoli Paesi europei stanno adottando approcci individuali per mitigare l’impatto dei dazi. Molti stanno cercando di negoziare accordi bilaterali con gli USA per ottenere esenzioni o riduzioni tariffarie.
Tuttavia, questa strategia frammentata rischia di indebolire la posizione negoziale complessiva dell’Europa, esponendo i Paesi a una competizione interna per assicurarsi condizioni più favorevoli.
Il caso italiano: Meloni sorride e subisce
L’Italia, in particolare, sembra adottare una strategia attendista. Nonostante gli Stati Uniti rappresentino il secondo mercato di sbocco per il Made in Italy, con esportazioni che nel 2024 hanno superato i 67 miliardi di euro, il governo italiano non ha ancora delineato un piano concreto per affrontare la minaccia dei dazi.
Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha recentemente incontrato rappresentanti del settore produttivo per discutere dell’export e dei dazi, sottolineando la necessità di diversificare i mercati di destinazione e di difendere l’industria italiana.
Tuttavia, al di là di queste dichiarazioni, non sono emerse misure concrete o piani dettagliati per contrastare l’impatto delle politiche commerciali statunitensi.
Le stime sull’impatto dei dazi sull’economia italiana sono preoccupanti. Confartigianato ha evidenziato che l’imposizione di dazi addizionali potrebbe portare a un calo dell’export italiano verso gli States superiore agli 11 miliardi di euro, pari a una diminuzione del 16,8% rispetto ai 66,4 miliardi attuali.
I settori più a rischio includono l’agroalimentare, la moda e la meccanica, pilastri fondamentali del Made in Italy.
Giorgia Meloni sembra non avere una strategia chiara. Anzi, sembra non avere alcuna strategia. Cosa si aspetta dalla sua non-azione? A parte qualche pacca sulle spalle e l’accesso ai ricevimenti americani, con le foto assieme a Trump da mostrare alla stampa e riversare sui Tg per la costante campagna elettorale in cui è impegnata, l’unica idea che sembra balenare per la testa della premier è quella di apparire completamente subordinata agli interessi di Washington per sperare di avere uno sconto sui dazi.
Sua sorella Arianna ha definito FdI il “partito della nazione”, riprendendo senza successo un’espressione già usata dal PD. Ma di quale nazione parliamo? Quella reale o l’illusione propagandistica da vendere come imbonitori?
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