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Conflitto israelo-palestinese: le verità incontrovertibili

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Il conflitto israelo-palestinese nasce nel 1947 con la Risoluzione ONU 181, che prevedeva due Stati, ma solo Israele è stato istituito. Da allora, i palestinesi subiscono espulsioni (Nakba), apartheid e occupazione illegale. ONU e Corte dell’Aia condannano Israele, ma l’Occidente tace o minimizza. Questi sono i fatti, non opinioni.

Conflitto israelo-palestinese: la verità dei fatti

Con questo mio primo articolo per Kulturjam (quotidiano online indipendente e completamente autofinanziato), vorrei fornire un minimo di chiarimento – sia a favore di chi ne sa poco e ne vorrebbe sapere qualcosa di più, sia per contrastare pseudo-editoriali che narrano le cose sempre e solo a favore di una delle due parti in causa, ovvero quella di Israele – su come siano effettivamente andate le cose fino ad oggi nel conflitto israelo-palestinese, riportando perlopiù dei fatti, e non delle opinioni:

il tutto inizia nel 1947 (e non nel 2023, come vorrebbe far credere qualcuno) con la Risoluzione n.181 delle Nazioni Unite, la quale Risoluzione stabilisce che, a partire da quel momento, si dà il via alla creazione di due Stati in terra di Palestina: quello di Israele, e lo Stato di Palestina.

Il problema è tutto lì, ed è la madre di tutto quel che è accaduto da quel momento in poi, ovvero che quella Risoluzione delle Nazioni Unite fino ad oggi è stata rispettata solo per metà, ovvero si è dato il via allo Stato di Israele ma non a quello palestinese, con gravissime colpe e responsabilità dell’Occidente, dato che ha decretato – ma non vigilato – su quanto stava accadendo e sarebbe accaduto da quel momento in poi.

Ma non solo: la drammatica conseguenza a tutto ciò, è racchiusa nel termine arabo “Nakba” (catastrofe), ovvero la cacciata dei palestinesi dal 1948 in poi dalle proprie case e dalle proprie terre da parte dei coloni israeliani, coperti dal proprio esercito.

Sì, avete capito bene: le case nelle quali vivevano famiglie palestinesi, da quel momento in poi sono andate agli israeliani e coloro che vivevano lì sono stati massacrati o, nel migliore dei casi, finiti in campi profughi ove ancora oggi vivono i loro discendenti. Idem per le terre palestinesi coltivate ad ulivo: cacciati i legittimi proprietari, son finite agli israeliani.

I palestinesi che vivevano in quelle aree, sono stati rinchiusi per metà in un carcere a cielo aperto denominato Striscia di Gaza (striscia di terra lunga 40 km e larga 10 che lambisce il Mar Mediterraneo) nella quale son stipate più di 2 milioni di persone che non hanno alcuna possibilità di entrare o di uscire liberamente; altre famiglie palestinesi sono nella Cisgiordania, altro territorio nel quale Israele fa il bello e cattivo tempo, sottrae terre, insedia moltissime colonie illegali e dove attraverso numerosissimi checkpoint rende difficilissima la vita di chi vive lì (perlopiù in campi profughi).

Non è da oggi che una delle ONG più note, cristalline e trasparenti al mondo (Amnesty International) parla apertamente di apartheid al quale son ferocemente e costantemente sottoposti i palestinesi che vivono tra Striscia di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est (terzo punto altamente in discussione tra i due fronti).

Dopo la Risoluzione n.181 del 1947 di cui sopra, altre Risoluzioni ONU sono intervenute nel tempo per cercare di dirimere e riequilibrare la situazione, delle quali le più importanti sono certamente la n. 194 del 1948 e la 242 del 1967, che chiedono e sentenziano il ritiro immediato di Israele dalle terre occupate durante la Guerra dei 6 giorni (1967) ma soprattutto decretano il cosiddetto e famoso diritto al ritorno dei palestinesi nelle proprie case e nelle proprie terre.

Diritto stabilito sulla carta ma fino ad oggi mai rispettato da Israele e mai fatto rispettare da USA e tutto il mondo occidentale; l’America poi, da sempre, ha il proprio destino totalmente intrecciato a maglie strette con quello di Israele, il quale è così nei fatti autorizzato a compiere ogni misfatto, legale o illegale che sia, senza che nessuno possa minimamente opporsi.

Israele ritiene così di essere al di sopra del diritto internazionale e di poter quindi avere ogni diritto di imprigionare, torturare e assassinare palestinesi quando e come vuole (minorenni inclusi), del tutto impunemente.

L’Italia, essendo notoriamente e a tutti gli effetti una colonia americana, da destra a sinistra tace su tali terribili e agghiaccianti soprusi (spesso applicati su minorenni), così come d’altronde fa la gran parte dei Paesi europei (l’Irlanda per fortuna si smarca nettamente rispetto a tale linea smaccatamente filo-israeliana e così fan spesso anche i popoli del Nord Europa, ma sono eccezioni).

In buona sostanza il destino del popolo palestinese (tra quelli con l’età media più bassa al mondo) non coglie l’interesse di alcun governante di questo Pianeta.

Devo anche dire però che in passato vi furono degli statisti italiani (in particolare Andreotti, Craxi e Berlinguer) che provarono a dir qualcosa sulla questione apertasi a partire già dall’immediato dopoguerra, ma poi tutto finì lì e non successe nulla; negli anni successivi infatti, grazie anche e soprattutto a una fortissima e costosissima attività di lobbing messa in essere da parte dello Stato ebraico a livelli altissimi in Europa coinvolgendo, a quanto sembra, addirittura 300 parlamentari europei appartenenti ad ogni schieramento politico, nessuno ha avuto più l’ardire e il coraggio di alzare un grido di protesta su quanto costantemente avviene nei territori occupati (definizione delle Nazioni Unite).

Da ateo e da indipendente di sinistra, per obbligo morale e onestà intellettuale devo dire che, tra i pochi che lo hanno fatto, ha fatto sentire forte la sua voce Papa Francesco, gridando al genocidio, e per questo è stato fortemente insultato e censurato dai soliti amici di Israele, che conosciamo fin troppo bene. Con lui, ad onor del vero, il Segretario Generale ONU António Manuel de Oliveira Guterres, anch’esso accusato da Israele & Company di antisemitismo (sic), esattamente come chiunque provi a criticare le azioni dello Stato sionista.

Sul piano del diritto internazionale è stata la Corte Penale Internazionale dell’Aia a sollevare il problema, che ha emesso mandato di arresto per il Premier israeliano Benjamin Netanyahu e ha ritenuto plausibile l’accusa di genocidio in relazione a quanto commesso da Israele – a partire dal 7 ottobre 2023 – ai danni del popolo palestinese.

Ma, a fronte di tutto ciò, ovvero della obbligatorietà (stabilita per legge) dei Paesi membri di dover pedissequamente seguire ed eseguire quanto disposto dalla Corte Penale Internazionale, Tajani, Ministro degli Interni in carica, a riguardo della richiesta di arresto del Premier israeliano Benjamin Netanyahu, ha avuto modo di dichiarare: “Mandato di arresto per Netanyahu irrealizzabile e non serve alla pace. Servono nuove regole di ingaggio per Unifil”.

Ricordo che (dal sito web del Parlamento italiano): La Corte penale internazionale è un tribunale chiamato a giudicare i responsabili di crimini particolarmente efferati, che riguardano la comunità internazionale nel suo insieme, come il genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra e il crimine di aggressione.

La Corte ha un proprio Statuto, stipulato a Roma il 17 luglio del 1998, che definisce in dettaglio la giurisdizione ed il funzionamento di questo tribunale. […] La legge (n. 237 del 2012, n.d.a.) attribuisce al Ministro della giustizia e alla Corte d’appello di Roma il ruolo, rispettivamente, di autorità amministrativa e di autorità giudiziaria competenti per la cooperazione con la Corte penale internazionale.

Il provvedimento disciplina altresì le modalità di esecuzione della cooperazione e, in particolare, la procedura di consegna alla Corte penale internazionale di persone che si trovino sul territorio italiano, a seguito di mandato d’arresto internazionale ovvero di una sentenza della Corte internazionale di condanna a pena detentiva, intervenendo anche in materia di esecuzione delle pene pecuniarie e sulla procedura applicabile nel caso in cui l’Italia sia individuata dalla Corte internazionale come Stato di espiazione di una pena detentiva.

Lascio a voi i commenti su tutto ciò confidando che la morale del perché i palestinesi si trovino perennemente in quelle condizioni di gravissimo disagio, sia sufficientemente chiara.

In ultimo, vi riporto la dichiarazione di Andreotti (più volte Presidente del Consiglio), Senato della Repubblica, 18 luglio 2006, a proposito della Striscia di Gaza: «Io credo che ognuno di noi, se fosse nato in un campo di concentramento, e da 50 anni fosse lì e non avesse alcuna prospettiva di poter dare ai propri figli un avvenire, sarebbe un terrorista».

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Eugenio Cardi
Eugenio Cardi
Scrittore, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato ad oggi dodici romanzi, pubblicati in Italia e all’estero

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