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La liberazione di Cecilia Sala ha rappresentato un indubbio successo per il governo italiano e in particolare per la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Questo evento, preceduto dal viaggio della premier negli Stati Uniti e dal suo incontro con Donald Trump, ha suscitato diverse riflessioni sulle contropartite che potrebbero essere state necessarie per ottenere un risultato positivo. Ma soprattutto se sia stato concordato con i padrini di Washington.
Liberazione di Cecilia Sala: contropartite geopolitiche
La prima contropartita evidente riguarda l’Iran. Secondo fonti americane, l’ingegnere iraniano verrà rimpatriato come parte dell’accordo per la liberazione di Cecilia Sala.
Questo potrebbe essere favorito – formalmente – dal fatto che in Italia, le accuse contro Abedini differiscono da quelle negli Stati Uniti, sia per i requisiti minimi per configurare un’associazione a delinquere sia per l’accusa di terrorismo.
Negli USA, Abedini è accusato di aver fornito sistemi di navigazione ai pasdaran dell’IRCG, considerato un’organizzazione terroristica solo in alcuni Paesi (USA, Canada e Svezia), ma non dall’ONU o dall’UE. Questa differenza di classificazione potrebbe essere il grimaldello per portare alla revoca dell’arresto preventivo.
Inoltre, il trattamento dei detenuti accusati di terrorismo negli USA, diverso da quello italiano, potrebbe influire sulla decisione del ministro qualora i giudici negassero gli arresti domiciliari.
Il secondo elemento delinea invece un quadro complesso in cui gli interessi nazionali italiani si intrecciano con le dinamiche geopolitiche internazionali. L’autorizzazione al rilascio, attribuita a Donald Trump, ma con una sorta di via libera anche dell’amministrazione uscente, solleva interrogativi sulla natura del gesto: è stato un atto di magnanimità o una mossa strategica per consolidare la sua influenza in Europa?
Resta che quest’operazione ha offerto a Giorgia Meloni un’occasione di capitalizzazione mediatica. La Presidente del Consiglio è riuscita a presentarsi come una leader capace di ottenere grandi risultati, senza dover condividere i meriti con i servizi segreti, in particolare con Elisabetta Belloni, che si è dimessa il 23 dicembre, pochi giorni dopo l’arresto di Sala.
Le dimissioni di Belloni, avvenute a seguito delle presunte ingerenze del governo nel suo operato, hanno contribuito a creare una narrazione che ha rafforzato l’immagine di Meloni come l’underdog capace di sfidare gli apparati statali.
Ovviamente tutto ciò non è stato gratuito. Il messaggio implicito è chiaro: sostenere la presidenza di Trump comporta vantaggi mediatici che possono essere utilizzati a proprio favore. Tuttavia, questi vantaggi comportano un costo: la sottomissione politica del beneficiario.
L’Italia, essendo tra i primi a beneficiare di questa dinamica, potrebbe ottenere vantaggi maggiori rispetto a chi si unirà successivamente, ma ciò comporta anche il rischio di una ulteriore posizione di subalternità verso gli Stati Uniti.
Ricordiamo che l’Italia – e l’Europa in generale, già si ‘affida’ agli USA per:
– social network (twitter/facebook/instagram etc..)
– circuiti carte di credito (visa/mastercard)
– circuiti bancari (SWIFT)
– sistemi operativi (windows)
– esercito (NATO)
– smartphone (Iphone)
– servizi mail e internet (google/microsoft)
– energia (GNL)
Il caso Sala, quindi, non è solo un episodio isolato, ma un tassello di un mosaico più grande che definisce il ruolo dell’Italia nel panorama geopolitico contemporaneo.
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