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Pietro Senaldi, la destra con la penna e la clava

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Pietro Senaldi, direttore di Libero, divide l’opinione pubblica con titoli provocatori e controversi al limite del dileggio, ma difende strenuamente il suo stile. Il quotidiano, vicino alla destra viscerale, è sostenuto da fondi pubblici e gestito da Antonio Angelucci.

Su Pietro Senaldi e Libero

Pietro Senaldi, classe 1969, è il direttore di Libero, il quotidiano che per la destra più sanguigna è una bibbia, ma per la sinistra è un pugno nello stomaco quotidiano.

Milanese, interista sfegatato, con un amore per il ciclismo e un fiuto per i titoli che fanno discutere, Senaldi guida Libero con l’aplomb di chi sa che ogni prima pagina è una granata pronta a esplodere.

Tra querele per diffamazione, un sostegno tiepido, in politica estera, al governo Meloni e una contraddizione grossa come una casa, campagne feroci contro il Reddito di Cittadinanza ma mani aperte per i finanziamenti pubblici, Senaldi è il volto di un giornalismo che divide l’Italia. E dietro di lui, il proprietario Antonio Angelucci, parlamentare leghista, in un ruolo controverso legato alla proprietà e al sostegno finanziario del quotidiano.

Gli inizi

Nato nel 1969, Senaldi si laurea in Giurisprudenza a Milano e inizia come avvocato, ma la toga gli sta stretta. Negli anni Novanta si butta nel giornalismo, passando da Il Giornale a Libero, con una parentesi con La Padania, dove diventa un pupillo di Vittorio Feltri, il padre spirituale del giornalismo con pochi freni.

Nel 2016, prende il timone di Libero come direttore responsabile, trasformandolo nel megafono della destra più schietta. Appassionato di ciclismo e tifoso dell’Inter, si dice che non perda una partita e che esulti per i gol di Lautaro come per un titolo ben riuscito, Senaldi vive per il suo giornale, con un’energia alimentata da caffè, polemiche e la voglia di far arrabbiare qualcuno.

I titoli memorabili

I titoli di Libero sono il marchio di fabbrica di Senaldi, e spesso finiscono in tribunale. Nel 2017, il celebre “Patata bollente”, riferito alla sindaca di Roma Virginia Raggi in un articolo di Feltri, scatena un putiferio: il Tribunale di Roma condanna Feltri e Senaldi per diffamazione, con l’obbligo di pubblicare un editoriale di scuse.

Ancora più esplosivo il titolo del 2019: “Calano fatturato e PIL, aumentano i gay”. La frase, un mix di provocazione e cattivo gusto, scatena accuse di omofobia, proteste e un richiamo dell’Ordine dei Giornalisti. Ma imperterrito difende la linea: “Il nostro mestiere è far parlare, non fare i chierichetti”. Sebbene il titolo sia stato giudicato offensivo da più parti, Senaldi ha sostenuto il valore provocatorio come strumento giornalistico.

Non è finita. Nel 2020, Libero incassa una condanna da 15.000 euro per articoli diffamatori contro l’ANPI. Nel 2024, il giudice Antonio Esposito vince una causa contro il giornale per 12 articoli firmati da Feltri sotto la direzione di Senaldi, con un risarcimento di 30.000 euro. Il Tribunale di Milano sembra avere un abbonamento a Libero, ma Senaldi lo considera un prezzo da pagare per il suo stile.

L’Ordine dei Giornalisti è un ospite fisso nella carriera di Senaldi. Nel 2019, un procedimento viene aperto per editoriali di Libero ritenuti troppo aggressivi sull’immigrazione, con un richiamo formale come risultato.

Libero mercato…per gli altri

Libero è il quotidiano di riferimento per la destra più viscerale: inni al libero mercato, attacchi al “politicamente corretto”, crociate contro tasse e burocrazia. La campagna contro il Reddito di Cittadinanza è stata un cavallo di battaglia, con editoriali che dipingevano i percettori come parassiti.

Al contempo, Libero ha beneficiato di fondi pubblici per l’editoria, con contributi significativi tra il 2003 e il 2023.

Soldi pubblici? No per i poveri, sì per il giornale. Una contraddizione che ha fatto infuriare molti, come si legge in post su X che parlano di “Reddito di Giornalanza”. Questa critica si è diffusa soprattutto sui social, suscitando accese discussioni.

I rapporti con la proprietà

A rendere il quadro più spinoso c’è la proprietà: Editoriale Libero Srl appartiene ad Antonio Angelucci, parlamentare leghista e imprenditore, con interessi rilevanti nel settore sanitario privato e nell’editoria. Angelucci, con il suo impero editoriale e politico, è “the man” dietro Libero, e Senaldi è il suo generale in prima linea, pronto a combattere ma ben consapevole di chi paga lo stipendio.

In politica interna, Libero è un alleato fedele del governo Meloni: anti-immigrazione, anti-woke, pro-mercato. Nonostante critiche su presunti allineamenti con il potere politico, Senaldi difende l’autonomia editoriale del giornale.

In politica estera, però, segue la linea incerta di Meloni, che di linea ne ha poca. Il sostegno all’Ucraina è tiepido, con titoli come “Basta armi a Kiev, l’Italia viene prima” (2023) che riflettono una cautela estrema, attenta a non irritare Washington, specie con Trump all’orizzonte. Gli editoriali di Senaldi criticano gli aiuti militari ma evitano attacchi diretti a USA o NATO, in perfetto stile Meloni: urlare in casa, sussurrare all’estero.

L’altro Senaldi

Fuori dalla redazione, Senaldi è riservato, ma qualcosa si sa. Sposato e padre di una figlia, che nel 2023 aveva circa dieci anni, ha raccontato a Sottovoce su Rai Uno che la paternità gli ha “rivoluzionato il quotidiano” e cambiato i valori. “Non vorrei altri figli, dovrei sfasciare la mia famiglia, cosa che non ho nessuna intenzione di fare”, ha detto, mostrando un lato umano che contrasta con l’immagine del provocatore. Sulla sua vita privata tende a tenere il sipario chiuso. In un’intervista, alla domanda su cosa faccia fuori da Libero, ha risposto: “Scrivo, dormo, mangio. In quest’ordine”.

E mentre l’Italia litiga su qualcosa, lui è già in tipografia, con un sorriso che dice: “Vediamo chi si arrabbia stavolta”. E qui sta il problema, perché si arrabbiano sempre gli stessi. Il giornalismo dovrebbe essere il “cane da guardia del potere” non il suo cane da compagnia.

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parole ribelli, menti libere

 

 

Enrico Zerbo
Enrico Zerbo
Ligure, ama i gatti, la buona cucina e le belle donne. L'ordine di classifica è a caso. Come molte cose della vita. Antifascista ed incensurato.

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