La guerra è la cosa più bella della nostro mondo digitale e quasi tutti segretamente ne godono. Ci permette di continuare a sentirci compatti e risolti.
Nel mondo digitale, più bella cosa non c’è della guerra
L’epoca neoliberale è quella dell’uomo risolto, compatto, senza eccedenze tragiche. La vita è bella perché possiamo consumare all’infinito, godere all’infinito, divertirci all’infinito e rispondere così a una presunta natura umana che ci vorrebbe esseri viventi dediti alla massimizzazione del profitto e del godimento.
Lo scacco esistenziale è scomparso: non ci interroghiamo più su alcun tipo di limite, non sentiamo più quel desiderio lacerante che non si appaga mai nonostante il godimento continuo, non ci interroghiamo più sul fatto che tendiamo all’infinito ma siamo dei finiti che devono morire, non ci sentiamo più disorientati in un mondo nel quale la nostra vita, a differenza di quella degli altri viventi, non determinata dal solo codice biologico.
In una tale epoca, tutto ciò che mette in discussione la compattezza dell’uomo indiviso, dedito alle droghe che lo tengono lontano dalle domande ultime, è considerato come un virus che viene dall’esterno, come il portato di qualche inefficienza del sistema, dell’insipienza di qualche fannullone o della malvagità di qualche individuo – o magari popolo – espressione del diavolo.
E nel mondo dei social, nei quali è il mezzo stesso a invitare alla rapidità e alla poca articolazione della riflessione, dilaga inevitabilmente il paradigma vigente che vuole il male come un virus piombato dall’esterno e non, da una parte come il frutto della libertà umana (se si può scegliere di fare il bene si può fare anche il male) e, dall’altra, come ciò che fa parte della vita umana in un mondo che ci mette sempre di fronte allo scacco esistenziale della fragilità, del non senso, della morte, della sfida della presenza, come avrebbe detto Ernesto de Martino.
Dunque, la guerra è la cosa più bella della nostra epoca e quasi tutti segretamente ne godiamo. Ci permette di continuare a sentirci compatti e risolti.
Infatti, ci rafforziamo ulteriormente nella convinzione che il male venga da fuori: si chiami Covid, Putin o disonestà e avidità delle classi dirigenti (lo stesso paradigma che promuove comici antipolitici a leader di partito e persino di Stato).
Ci sentiamo assolti e non siamo coinvolti. Ci sentiamo felici, senza domande a lacerare il nostro cuore di mortali, senza eccedenze a ricordarci che l’uomo è sempre di più e di meno allo stesso tempo. Le increspature sono del diavolo, vengono da fuori. Sono certamente una seccatura, ma tutto sommato ci confermano nella nostra beata felicità di invincibili esseri compatti e senza domande esistenziali.
Sorrido amaramente nel vedere i comportamenti di chi accusa l’ANPI proprio in virtù di una sorta di superiorità etica. In nome del paradigma vigente, arriviamo a bruciare le nostre stesse case.
Poi, nel deserto saremo soli e quando dovremo dire a qualcuno che abbiamo paura di morire o quando vorremmo comporre una musica per lenire il dolore del nostro transito terrestre, non avremo più nessuno con cui farlo e nessuno più a insegnarcelo.
* Articolo per gentile concessione di Claudio Bazzocchi dalla sua pagina Fb
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