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Il rapporto tra l’Italia e la NATO è sempre stato complesso. Quando si nasce dentro una situazione, il panorama attorno appare “naturale”. Invece è storico e giova conoscerne la storia.
L’Italia e la NATO: quanto deve durare la ‘riconoscenza’?
Il 4 aprile 1949 l’Italia aderiva formalmente alla NATO. Nella narrazione corrente si tende a semplificare quel passaggio come una naturale conseguenza della divisione del dopoguerra: da un lato la Democrazia Cristiana saldamente filoatlantica, dall’altro il Partito Comunista irriducibilmente ostile. Ma la realtà fu ben più sfumata.
Un fronte democristiano diviso
All’interno della stessa DC non mancarono forti perplessità. Figure di rilievo come Giuseppe Dossetti e Giovanni Gronchi – che sarebbe divenuto Presidente della Repubblica – espressero netta contrarietà all’ingresso dell’Italia nell’Alleanza Atlantica, temendo una perdita di autonomia per il giovane Stato democratico.
Anche da sinistra le posizioni furono meno rigide di quanto si ricordi: Palmiro Togliatti, segretario del PCI, pur criticando l’Alleanza Atlantica, dichiarò in Parlamento che un’adesione sarebbe stata accettabile solo in assenza di basi militari straniere sul suolo italiano.
Fu Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio, a rassicurare i parlamentari: nessuna potenza occidentale aveva richiesto basi permanenti in Italia, quindi il pericolo non sussisteva. Promessa smentita rapidamente dai fatti: oggi si contano circa 120 basi statunitensi in Italia, oltre a una ventina non ufficiali. Un precedente inquietante, che riecheggerà decenni dopo nelle rassicurazioni a Gorbaciov sull’espansione a est della NATO.
Il dissenso di Pertini e l’offerta di Almirante
Anche Sandro Pertini, futuro presidente della Repubblica, si oppose con forza all’ingresso nella NATO, denunciando la fine della piena sovranità nazionale riconquistata a fatica dopo fascismo e occupazione nazista. Dall’estrema destra, Giorgio Almirante offrì un sostegno condizionato: il suo voto favorevole in cambio di concessioni sulle ex colonie italiane.
Offerta ignorata dagli angloamericani, che avevano ben altri piani per il ruolo delle destre postfasciste: non partner, ma strumenti funzionali alla strategia atlantica. E così fu, tra trame eversive, bombe e depistaggi nella lunga stagione della Guerra Fredda.
La NATO e la democrazia: un rapporto ambiguo
Chi guarda alla NATO come garante globale della democrazia dovrebbe confrontarsi con il lungo elenco delle sue “deroghe”: dal Cile di Allende all’Iran di Mossadeq, passando per i colonnelli in Grecia, il golpe in Indonesia, le dittature in Argentina e Brasile, fino alla repressione sistemica in Centroamerica. Il panorama è ampio, e non certo edificante. Forse Pertini non aveva torto nel temere che l’Alleanza portasse più vincoli che libertà.
Dalla Guerra Fredda alla sua riedizione
Oggi, a 36 anni dalla caduta del Muro di Berlino, sembrerebbe che la riconoscenza per la liberazione del 1945 abbia esaurito il suo credito. Dopo il ciclo della globalizzazione, la pandemia ha segnato un punto di svolta, traghettandoci verso una “Seconda Guerra Fredda”. L’Europa si è trovata nuovamente allineata, spesso senza spirito critico.
Emmanuel Macron aveva osato definire la NATO “cerebralmente morta”, e la Germania aveva avviato un’autonoma politica economica con Russia e Cina. Oggi sono tra i più zelanti interpreti della linea atlantica, tra riarmo, invio di armi e interferenze nelle crisi globali, dalle proteste in Georgia alle forniture a Israele.
La politica è libertà di scelta, non automatismo storico
La politica, in democrazia, dovrebbe significare libertà di scelta. Ma è necessario ricordare che il contesto in cui ci muoviamo non è neutro: è il prodotto di decisioni passate, spesso imposte o camuffate.
Oggi più che mai è fondamentale riconoscere che ciò che appare “naturale” è spesso il risultato di una precisa architettura storica e geopolitica. Comprenderla è il primo passo per poterla eventualmente cambiare.
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