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La post-politica e la cultura socialista

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La post-politica in cui siamo entrati non usa segni falsi, ma segni insensati, gioca sulla reazione emotiva istantanea, mira a un consenso che basta che duri pochi giorni.

La post-politica*

Abbiamo superato la post-democrazia. Questa consisteva nell’usare segni falsi. La post democrazia che abbiamo avuto negli ultimi 40 anni era una farsa, in cui si faceva credere di essere ciò che non si era.

La post-politica in cui siamo già entrati è diversa: non usa segni falsi, ma segni insensati, gioca sulla reazione emotiva istantanea, mira a un consenso che basta che duri pochi giorni.

I segni insensati, che non fanno senso e non esprimono senso ne progetto, non possono essere demistificati, perché non funzionano sull’opposizione vero/falso. Richiedono adesione Estatica immediata, si cancellano dopo qualche settimana.

Le campagne elettorali di questi anni potremmo leggerle con queste categorie. Di essa niente sarà ricordato, niente apre un futuro.

Ma non la leggerò, non applicherò questa categoria per interpretare ciò che sta accadendo. Perché la postpolitica viaggia anche in questo mezzo, e le polemiche sono il modo in cui essa vive: sono l’esaltazione del segno insensato.

PS. Il segno insensato è un segno che non apre al possibile. Rimanda a se stesso, pura istantaneità, puro nome che nasconde l’eclisse della politica.

La cultura socialista

Un partito e una cultura socialista, se mai esisteranno, non dovranno mirare a recuperare niente di ciò che oggi si chiama sinistra.

Dovranno dare voce alle esigenze di precari e garantiti, lavoratori autonomi e dipendenti, lavoratori del nord e del sud, di uomini e donne, di disoccupati e occupati, tradizione ed emancipazione, identità e differenza.

Dovranno creare un nuovo blocco sociale, unificato dentro un progetto di trasformazione che apra un orizzonte di possibilità percorribili.

Tutta l’attuale cultura di sinistra impedisce che qualcosa di simile possa nascere.
Lasciarsela alle spalle è il primo gesto.

Non si può parlare al mondo del lavoro cercando di mediare con quel linguaggio da ruffiani, quel gergo autoreferenziale e quella spocchia intellettuale che è diventata tutta la cultura di sinistra.

Bisogna lasciarsi alle spalle i porti, mollare le zavorre. L’orizzonte non è mai stato così aperto. Per chi inizia c’è davanti un lungo viaggio, su terre ignote, ma restare dove si è significa restare nel deserto.

È l’intera idea di emancipazione che caratterizza oggi tutte le sinistre ad essere diventata mortifera. È diventata un desiderio di dissoluzione, di rottura di ogni legame.

Il socialismo è, prima di tutto, l’esigenza di salvare e generare legami.

* Per gentile concessione di Vincenzo Costa, professore ordinario alla Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, dove insegna Fenomenologia. Ha scritto saggi in italiano, inglese, tedesco, francese e spagnolo, apparsi in numerose riviste e libri.

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