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Tra una settimana ci sarà l’annuale ricorrenza della “Giornata della Memoria”, con il quale si ricorda il dramma della Shoah. Ma mai come quest’anno, attraversato dal massacro dei palestinesi sostenuto e rimosso da tutto l’Occidente, occorrerebbe riflettere sull’uso politico e le strumentalizzazioni pubbliche. Le varie giornate commemorative, con la loro ripetitività immutabile, la celebrazione retorica assolutamente convenzionale, concorrono a una raffinata forma di cancellazione.
L’ossimoro delle giornate commemorative
Le giornate commemorative, dalla “Giornata della memoria” alla “Giornata del ricordo“, per finire alla paradossale “Cerimonia commemorativa della pace di Hiroshima“, in cui si usa il termine ‘pace’ per ricordare l’uso della bomba atomica sui civili, evento in cui non si nomina mai chi sganciò l’ordigno, rappresentano un ossimoro sempre più evidente nel contesto politico attuale.
Mentre il loro scopo dichiarato è quello di preservare la memoria storica, la loro funzione reale sembra essere quella di una sottile cancellazione della stessa. L’annuale ripetitività e la celebrazione retorica convenzionale rischiano di trasformare queste occasioni in rituali vuoti, che rimuovono la consapevolezza storica piuttosto che rafforzarla.
In un anno segnato da eventi drammatici come il massacro dei palestinesi, sostenuto e rimosso dall’Occidente, la strumentalizzazione delle giornate commemorative emerge in tutta la sua gravità.
L’uso politico di queste ricorrenze diventa evidente: esse non solo semplificano gli eventi storici a immagini statiche e inalterabili, ma servono anche come strumenti di autoassoluzione.
Celebrare un male passato permette ai detentori del potere di presentarsi come paladini del bene, evitando al contempo ogni riflessione critica sul presente.
Lo schema commemorativo che si ripete
Le commemorazioni pubbliche operano attraverso una doppia clausola:
- Rievocazione convenzionale: Le giornate commemorative rievocano eventi storici in modo superficiale e standardizzato. Questa narrazione convenzionale crea un senso di sicurezza illusorio, come se quegli eventi non potessero più ripetersi. Tuttavia, la storia non si ripete mai nello stesso modo, e l’attesa di segni evidenti del passato, come simboli o uniformi, distoglie dall’identificazione delle nuove forme di ingiustizia.
- Autoassoluzione anticipata: Condannare pubblicamente un male passato fornisce una comoda giustificazione per le azioni presenti. I governi e le istituzioni possono così evitare un confronto autentico con le proprie responsabilità, usando la memoria storica come uno scudo per legittimare politiche discutibili.
Queste celebrazioni diventano così un mezzo per autoattribuirsi una patente di civiltà, eliminando al contempo ogni possibilità di riflessione critica sulle analogie tra il passato e il presente.
Le giornate commemorative, lungi dal promuovere una reale comprensione storica, favoriscono una forma di censura mascherata da “buona informazione” e giustificano discriminazioni e conflitti sotto il pretesto della protezione della “salute pubblica” o della “pace”.
La mancanza di una reale comprensione storica porta a una visione semplicistica del male, come se i protagonisti degli orrori passati fossero consapevoli della loro malvagità e ne fossero fieri.
Questo approccio ignora che i movimenti storici di massa, per quanto aberranti, erano spesso guidati da una convinzione di giustezza e da una percezione di essere dalla parte giusta della storia. Proprio come avviene oggi, con chi si crogiola nell’illusione di essere immune dalle stesse dinamiche che condanna.
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