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Trump propone di spostare i palestinesi da Gaza, riportando alla memoria la Prima Intifada (1987), una rivolta di giovani contro l’occupazione israeliana. Pietre contro carri armati, repressione brutale, detenzioni senza processo: l’ONU condannò, ma Israele ignorò. E oggi, nulla è cambiato.
Prima Intifada, 1987
La folle e criminale sortita di Trump di questi ultimi giorni (spostare i palestinesi da Gaza in altri luoghi) mi ha fatto tornare in mente la prima “Intifada” (“scuotimento”), ovvero le ragioni sacrosante della rivolta popolare nata e portata avanti nel 1987 da giovanissimi palestinesi (perlopiù minorenni) nei territori occupati (definizione Nazioni Unite) contro lo strapotere e il feroce apartheid dello Stato occupante di Israele.
Estesa da Gaza alla Cisgiordania, la prima Intifada fu principalmente caratterizzata da una sorta di scontro tra Davide e Golia, ovvero da ragazzi palestinesi armati perlopiù solo di pietre contro i carrarmati israeliani (caratteristica che fece rimbalzare tale rivolta palestinese con molta risonanza sui media di tutto il mondo) e fortemente partecipata da tuto il resto della popolazione palestinese attraverso scioperi, dimostrazioni, scontri con le forze occupanti, azioni di disobbedienza civile.
Ma perché tutto questo? Perché fin dalla nascita dello Stato di Israele (1948), il popolo palestinese vive un’enorme ingiustizia: infatti, la stessa Risoluzione ONU che ha dato vita allo Stato di Israele (la n. 181 del 1947), prevedeva contemporaneamente anche la nascita dello Stato palestinese, cosa che non è mai accaduta fino ad oggi (e difficilmente accadrà in futuro) per via della fortissima opposizione dello stesso Stato di Israele e degli USA.
“Gli israeliani hanno creato una soluzione a tre classi: gli ebrei con pieni diritti; alcuni arabi cittadini d’Israele, con alcuni diritti; gli altri arabi, la maggioranza, con pochi o senza diritti” (Yuval Noah Harari, storico, filosofo e saggista israeliano).
Partita esattamente da Bayt Lāhyā, città palestinese della Striscia di Gaza (a nord di Jabalya), L’Intifada scoppiò negli ultimi mesi del 1987 per poi estendersi molto rapidamente in Cisgiordania e Gerusalemme Est; Quel che soprattutto sorprese il mondo è che protagonisti di tale incredibile rivolta furono le nuove generazioni, molto lontani quindi dal punto di vista anagrafico da coloro che avevano vissuto sulla propria pelle la Nakba, la cacciata dei palestinesi dalle proprie case e dalle proprie terre. Erano ragazzi molto spesso con buona educazione scolastica e perlopiù laici.
L’insofferenza nella fascia meridionale del Libano e nei territori occupati di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est era ai limiti, il vaso era colmo, la rivolta era nell’aria: nella Striscia di Gaza, da dove non era (e non è) possibile entrare e uscire liberamente, Israele aveva il controllo dell’acqua potabile, che erogava per poche ore settimanali.
Idem dicasi per l’erogazione dell’energia elettrica e per l’ingresso dei camion con gli aiuti umanitari. In Cisgiordania i coloni israeliani – complice il governo – andavano occupando sempre più, del tutto illegalmente, case e terre palestinesi, ottenendo addirittura sovvenzioni e sussidi statali, requisendo con la forza e con la violenza – anche grazie al sostegno militare dell’esercito – le terre più fertili.
La scintilla della rivolta, che già da parecchio covava sotto la cenere, scattò quando nel campo profughi di Jabalya quattro palestinesi vennero uccisi da un camion dell’esercito israeliano. Ma l’episodio che più di altri funzionò da detonatore fu l’uccisione a freddo di un minorenne palestinese che lanciava pietre contro i soldati israeliani.
Venne ammazzato con un solo colpo di fucile. La repressione posta in atto dal governo israeliano fu estremamente dura, nelle carceri israeliane furono detenuti a migliaia minori di ogni età, bambini compresi, attraverso la famigerata detenzione amministrativa, ovvero senza prove, senza processo, senza una accusa precisa.
Era sufficiente voler resistere all’oppressione dell’occupante Stato sionista per essere accusati di terrorismo, molti giovanissimi provarono la feroce morsa di repressione israeliana venendo incarcerati sine die nella famigerata prigione di Ketziot (meglio nota come Ansar III), situata nel bel mezzo del deserto del Negev, un carcere che è un vero eufemismo definire molto duro, dove si può restar rinchiusi tranquillamente anche per diversi anni (senza alcun regolare processo) o nel carcere militare di Megiddo, dove i palestinesi ancora oggi vengono rinchiusi a lungo senza che vi sia stato un regolare processo e dove, sistematicamente, vengono sottoposti a feroci torture (brutali percosse, aggressioni sessuali, privazione del cibo e del sonno, pessime condizioni igieniche, negazione di cure mediche).
Alla luce di tutto ciò, all’epoca si era mosso anche il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, condannando il mancato rispetto della Convenzione di Ginevra, in merito allo spaventoso numero di morti, feriti e minori incarcerati senza una precisa accusa, ma naturalmente del tutto inutilmente, dato che lo Stato di Israele ben si guardava (e si guarda) dal rispettare le Risoluzioni ONU.
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