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IT-alert è il nuovo sistema di allarme pubblico per l’informazione diretta alla popolazione, che dirama ai telefoni cellulari, presenti in una determinata area geografica, messaggi utili in caso di gravi emergenze o catastrofi imminenti o in corso.*
IT-alert, tra sicurezza e controllo
Voluto dall’UE nel 2018 ed approvato in Italia nel 2020 (ne è stata iniziata la sperimentazione nel 2022), IT-alert si affianca ai sistemi di allarme già esistenti anche a livello locale, non è salvifico in sé, ma è finalizzato, rispetto a un determinato evento avvenuto o imminente, a consentire la diramazione rapida delle prime informazioni sulle possibili situazioni di pericolo.
Il messaggio diramato dal sistema viene accompagnato dal suono di una sirena e il cellulare rimane bloccato fino a quando non si darà l’ok a conferma della ricezione.
IT-alert potrebbe essere il titolo di un prossimo film di fantascienza ma la realtà sembra correre troppo veloce, anche per questo genere cinematografico.
Non ha fatto significativi progressi la cultura della sicurezza, che continua a spostarsi dal piano di prevenzione a quello dell’emergenza cui, difatti, ricorrono ormai strutturalmente i governi in ambito sanitario, ambientale, energetico, geopolitico.
Eppure, dato l’impressionante sviluppo cognitivo e tecnologico degli ultimi decenni, dovremmo ormai avere acquisito un adeguato livello di know how per evitare o, quanto meno, limitare danni catastrofici in conseguenza di qualsiasi evento naturale o sociale.
Durante l’emergenza Covid, ad esempio, ci sono stati tanti morti soprattutto perché il nostro sistema sanitario era (e rimane) impreparato ad affrontare una crisi di livello elevato, al punto che addirittura mancava un piano pandemico adeguatamente aggiornato. Un allarme non può certo costruire ospedali e macchinari, né formare operatori competenti.
Così IT-alert non costruisce centri di accoglienza, mezzi di trasporto, strade praticabili, argini e bacini di contenimento per fiumi in piena, campagne di informazione e formazione per i cittadini residenti e no.
Durante il test di IT-alert avvenuto sull’isola di Vulcano il 2 aprile del 2022, non tutti i cellulari hanno ricevuto il messaggio di allarme, non a tutti si è attivata la sirena: par di capire sia meglio, per chi può permetterselo, acquistare un telefono di nuova generazione, che di sicuro possiede il sistema già incorporato correttamente. Ma ciò che più salta agli occhi è che nel porticciolo dell’isola non c’erano molte imbarcazioni, mentre ci si aspetterebbe, in circostanze di questo tipo, la presenza di un numero quanto meno sufficiente di battelli pronti per allontanarsi dal pericolo.
Questo per dire che, in piena era internet e con la fitta rete di informazione radiotelevisiva attuale, più che di un sistema di allarme ci sarebbe bisogno di un efficiente sistema di fuga.
Eppure, nel mondo non mancano certo punti di riferimento in tal senso. La Finlandia, per citare un paese vicino ai nostri standard, ha da tempo costruito vere e proprie città sotterranee per affrontare eventuali crisi, soprattutto di tipo nucleare.
È inoltre utile ricordare il caso della città giapponese di Fukushima, sede di una centrale nucleare, che nel 2011 fu colpita da un terremoto di magnitudo 9.0 con conseguente tsunami (onde superiori ai dieci metri d’altezza): la combinazione dei due fenomeni fece saltare l’impianto di raffreddamento. Il Giappone è un paese all’avanguardia nell’ambito delle costruzioni antisismiche, e ha potuto classificare questo evento, che avrebbe potuto avere conseguenze devastanti, come un “incidente”. Non osiamo immaginare cosa sarebbe accaduto nel nostro paese.
Un terremoto, un’alluvione possono causare livelli diversi di emergenze che non dipendono soltanto dalla conformazione geomorfologica del territorio interessato, ma anche dalla densità abitativa, dalle condizioni urbanistiche, dallo sviluppo tecnologico, dalle conoscenze scientifiche, dalle decisioni politiche, dalle risorse economiche e non per ultimo dall’evoluzione della comunità colpita. Esiste anche il nesso con la storia.
In Italia non conosciamo, se non vagamente per sentito dire (sic!), i piani di evacuazione, né i punti di raccolta, neppure le destinazioni, i percorsi o con quali mezzi viaggeremo, o almeno quali possibilità di sopravvivenza avremmo restando dove ci troviamo.
Visto allora che IT-alert, piuttosto che fornire un servizio di acclarata utilità, serve più che altro a dare un’impressione d’efficienza alla cittadinanza, informata poco e male, sarebbe forse il caso di evidenziare che non è stato nemmeno chiesto il consenso per entrare nei nostri telefoni, il che vale a dire nelle nostre vite. Questo pone in risalto assenza di dialettica tra stato e società civile, un ruolo inefficace del sistema mediatico, labile importanza data alla memoria.
In caso vi chiediate se potete disattivare la ricezione delle notifiche di IT-alert, la risposta è affermativa, ma non in questa fase, visto che, da quanto dichiarato sul sito ufficiale, durante i test viene utilizzato il livello massimo per l’invio delle notifiche, che prescinde dall’impostazione del telefono e raggiunge tutti sempre e comunque.
Viene rispettata la privacy dei cittadini? Difficile crederlo. È un sistema invasivo-impositivo e non possiamo neutralizzarlo, anche se il nostro geo-localizzatore è disattivato o il cellulare è spento. Non è un caso che i cellulari di più recente fabbricazione non abbiano batterie estraibili, cosa che consentiva di scollegarsi in modo definitivo.
Nel nostro apparecchio personale c’è la nostra esistenza, difatti è il prolungamento del nostro corpo ma altri possono entrarvi liberamente, e non ci sembra neppure tanto grave, abituati come siamo a demolire la volontà.
Lungi dal demonizzare la tecnologia, pare corretto però mantenere uno spirito critico sugli aspetti negativi, per cercare almeno di arginare il potere di una rete di controllo dalla quale sembra non si possa più uscire. Abbiamo perso il diritto alla riservatezza, come il diritto ad essere lasciati soli e proteggere la vita intima da ingerenze varie e tutelare la libertà di scegliere, di non essere omologati, di non essere controllati, il diritto di proteggersi da qualsiasi subdolo tentativo di discriminazione e realizzare la libertà di autodeterminazione.
In tal senso, ci manca davvero uno dei più grandi costituzionalisti italiani, Stefano Rodotà; ci farebbe un cenno di assenso ma ricordandoci che i nostri dati stanno già circolando: immagine, salute, opinioni politiche, orientamenti sessuali, credo religioso, scelte commerciali, stile educativo, rendimento sul lavoro, situazione economica, abitazione… Tutto ciò di cui hanno bisogno i Big date.
Viene da chiedersi se IT-alert non sia un ulteriore passo verso il capitalismo della sorveglianza, del tracciamento, del controllo totale, come già anticipato nella forma e nella sostanza dal Green pass.
* I corsivi nell’articolo sono tratti dal Sito Dipartimento della Protezione Civile: Cos’è | IT Alert (it-alert.it)
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