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Bisognerebbe cambiare il senso della parola ‘conservatori”, slegarla dalla destra. Esserlo oggi non è la riproposizione di schemi del passato, ma una forma di resistenza da parte di tutti, sinistra compresa. Significa conservare la vita, l’umanità, l’ambiente, la pace.
A che servono i conservatori?
Una volta i conservatori ‘conservavano’. Sembra una banalità, un gioco di parole poco brillante ma la realtà spesso parte da considerazioni elementari che nessuno vuole più approcciare. E invece bisognerebbe partire proprio da questo punto, anche dal punto di vista di un progressista o di un rivoluzionario. E utilizziamo volutamente questo armamentario lessicale novecentesco. I conservatori difendevano valori, tradizioni e strutture sociali consolidate, opponendosi ai cambiamenti rapidi e alle rivoluzioni improvvise.
Tuttavia, oggi la destra che si fregia di questo attributo sembra aver abbandonato completamente la sua missione originale. Non vuole conservare nulla: al contrario, appare infatuata dell’innovazione per l’innovazione stessa, tanto in campo tecnologico quanto culturale e sociale. Questa ossessione per il cambiamento, paradossalmente, la accomuna alla sinistra, sua apparente avversaria ma di fatto complice.
Il progressismo all’americana, con la sua enfasi sulla crescita perpetua e sul cambiamento incessante, ha trionfato. Non c’è settore della società che ne sia immune: lo promuovono i meloniani quanto i piddini, i leghisti quanto gli ambientalisti, i giornalisti televisivi e gli intellettuali di ogni schieramento.
Il mantra è sempre lo stesso: progredire, crescere, cambiare, sempre più in fretta. Questo processo ossessivo porta inevitabilmente a cancellare il passato, anche quello più recente, per far posto a nuove mode, destinate a consumarsi rapidamente e a cadere nell’oblio.
Il vero problema, però, non è solo questa corsa sfrenata verso il nulla, verso un nichilismo travestito da progresso. È piuttosto il fatto che chi non si riconosce in questa frenesia di cambiamento non riesce a organizzarsi o, peggio ancora, si vergogna di esprimere il proprio dissenso. In un contesto dove tutto deve essere nuovo e moderno, chiunque osi difendere il passato rischia di essere emarginato o deriso.
Eppure, essere conservatori oggi potrebbe significare molto di più che semplicemente opporsi al cambiamento per il cambiamento. Potrebbe significare difendere le comunità, intese non come aggregazioni temporanee di individui con interessi comuni, ma come entità che condividono un territorio, una morale e dei valori radicati nel tempo.
Le vere comunità escludono il liberismo sfrenato, l’individualismo e il multiculturalismo imposto dall’alto, che nell’ottica liberista altro non è che il globalismo del mercato, tirannia sociale che nulla cambia ma si da una parvenza amichevole e colorata.
Le comunità riconoscono il valore delle tradizioni e della coesione sociale, opponendosi alla frammentazione e all’alienazione dell’individuo.
Se i conservatori non iniziano a difendere questi valori, presto non ci sarà più nulla da conservare. Essere conservatori, in quest’ottica, non è la riproposizione di schemi del passato, ma una forma di resistenza da parte di tutti, sinistra compresa. Significa conservare la vita, l’umanità, l’ambiente, la pace.
Le tradizioni e le comunità rischiano di essere travolte dall’ondata del cambiamento fine a sé stesso, lasciando un vuoto incolmabile, in un mondo che sembra aver perso ogni punto di riferimento.
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