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Perché ferisce l’AI che simula Miyazaki

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Negli ultimi giorni, un’applicazione di intelligenza artificiale ha generato immagini che richiamano lo stile inconfondibile di Hayao Miyazaki, suscitando discussioni per la possibile violazione del copyright, nonostante la mancanza di tutela esplicita dello “stile”, ma soprattutto per il rispetto che si dovrebbe a un maestro e all’arte stessa.

Su l’AI che simula Miyazaki

L’intelligenza artificiale che simula lo stile di Hayao Miyazaki non è solo una provocazione estetica: è un gesto che ferisce profondamente il senso stesso dell’arte. La recente proliferazione di immagini generate da AI, costruite per imitare il tratto poetico e inconfondibile del fondatore dello Studio Ghibli, va oltre la questione del copyright o della proprietà intellettuale. Colpisce al cuore la relazione intima tra artista, opera e pubblico.

Miyazaki non è solo un disegnatore di mondi: è un autore che con ogni tratto, ogni personaggio, ogni paesaggio racconta il suo sguardo sul mondo, i suoi timori, i suoi sogni. Le sue opere non sono semplici immagini: sono viaggi esistenziali, riflessioni sulla guerra, sull’ambiente, sulla solitudine e sull’infanzia. Sono tentativi, profondi e dolorosi, di confrontarsi con il vuoto dell’essere umano.

L’AI, nel generare immagini che sembrano “in stile Miyazaki”, non riproduce tutto questo. Ne offre una parodia superficiale. Sottrae il senso, e lo sostituisce con l’estetica. In quel tratto morbido, in quelle tinte pastello, non c’è più il corpo a corpo dell’autore con il mondo, ma solo il nostro bisogno compulsivo di apparire, di condividere, di “essere qualcosa” – fosse anche per pochi secondi, su uno schermo.

Come scriveva già Walter Benjamin, l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica perde l’aura. Ma qui siamo oltre: siamo nell’epoca in cui si produce qualcosa che simula l’opera, ma ne annulla completamente la profondità. Non siamo più nel campo della riproduzione, bensì in quello della sostituzione.

Non si tratta, dunque, solo di un “gioco”. Questo “gioco” svilisce il significato profondo dell’opera di Miyazaki e lo trasforma in un filtro, in un divertissement passeggero. E ferisce – non solo l’artista, ma anche noi. Perché ci abitua all’idea che l’arte possa essere ridotta a funzione estetica, a contenuto da postare, a superficie da scrollare. Ci priva dell’esperienza dell’attesa, del silenzio, della risonanza interiore che ogni vera opera porta con sé.

Hayao Miyazaki ha scelto l’animazione come linguaggio per raccontare la fragilità dell’essere umano, la sua tensione verso la pace, la sua sete di senso. Imparare da lui non significa copiarne lo stile, ma accettare la sfida che la sua opera ci pone: restare umani, anche nell’epoca in cui le macchine possono “creare”. Ma creare cosa, davvero? Se manca il cuore, se manca la visione, se manca l’esperienza, non resta che un simulacro. E ogni simulacro, alla lunga, ci svuota.

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Sira De Vanna
Sira De Vanna
Speaker radiofonica, redattrice, storico dell'arte. Caporedattore per Kulturjam.it

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