Nicholas Ray è stato il regista più “irregolare” del cinema americano: l’autore della Donna del bandito e del Diritto di uccidere, di Johnny Guitar e di Gioventù bruciata, amato da Scorsese e Wenders.
Nicholas Ray, l’incompiuto
Molti di voi avranno visto il film sul processo ai 7 di Chicago. Ci sono voluti esattamente 50 anni per farlo. In realtà i 7 erano 8, perché c’era anche Bobby Seals delle Black Panthers.
Inoltre ci fu già chi ebbe a filmare cosa accadde alla Convention di Chicago del 1968, e da quel materiale si sarebbe potuto trarre un grande film, o una schifezza di film ma ne dubito, di certo più visionario di quello uscito di recente, che invece adotta un punto di vista classicamente liberal.
Parlo di Nicholas Ray, presente in loco, stradrogatissimo, pestato dalla polizia con la sua troupe, che non mi pare sia stato neppure omaggiato dalla pellicola di Aaron Sorkin (che comunque si avvale di un notevole Sacha Baron Cohen che fa Abbie Hoffman).
Ray non poté completare l’opera – un documentario “psichedelico” in collaborazione coi protagonisti della vicenda – per ragioni di denaro (i finanziatori vennero meno dopo qualche anno, anche forse per ragioni politiche). Sprofondo’ in droghe e depressione e ne uscì solo col suo ultimo film. Che è un folle e sperimentale gioiellino.
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We can’t go home again
“Non possiamo più tornare a casa” (“We cant go home again“) è girato da Ray coi ragazzi dell’Harpur College di New York, dove il regista di “Gioventù bruciata“, “Il temerario” e “Johnny Guitar” era insegnante di cinematografia.
Il film, che non è una passeggiata ed è abbastanza fuori di testa, è composto da scene di vita vissuta recitate dagli stessi studenti e viene presentato a Cannes nel 1973. Dentro c’è tutto, sia pure in mezzo ad una avanzatissima e studiata decostruzione di immagini.
C’è la gioventù, il conflitto tra generazioni, il sesso, la morte, con lo stesso Ray che si impicca alla fine del film dopo una battuta memorabile: “Ho girato 10 western e non so fare un cappio”. E possiamo immaginare, da questo lavoro figlio dei tempi ma incredibile, amato da Scorsese e Wenders (ma tenuto in conto, secondo me, anche da Libero De Rienzo nel suo “Sangue”), come sarebbe stato il film di Ray sui fatti di Chicago.
Non ho visto il film di Wenders del 1980 in cui omaggia il maestro e parla di “We can’t go home again” e non sono riuscito a trovare da nessuna parte la colonna sonora di Norman Zamcheck dove c’è una bellissima canzone blues con la voce di Suzy Williams (“Bless the family”), che esprime il credo di Ray (tra comunitarismo e libertarismo).
Ad ogni modo, su Ray Play c’è il film, mandato qualche giorno fa da Rai 3. Nei titoli di coda, Ray stesso scrive: “Nessuno ce la fa da solo, nemmeno la follia”.
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