Tim Buckley è stato uno dei più grandi cantanti della storia del rock, un folksinger andato oltre i paletti della song tradizionale
Tim Buckley, il corpo che diede voce all’anima
Artista atipico e completamente avulso al contesto culturale e musicale in cui visse, Tim Buckley è stato veramente un caso a parte nel panorama folk rock di quell’epoca. In pochi anni, tra il 1966 ed il 1974, fu capace di pubblicare nove album di cui alcuni assolutamente ineguagliabili.
Una voce unica, oltre Dylan, al quale vagamente si ispirò all’inizio della sua carriera, vicina (molto) a quella di Fred Neil, che amava profondamente, e studiava con attenzione.
Un suo iniziale approccio cantautorale fu sostituito ben presto dalla sperimentazione, con frequenti incursioni nel free jazz e nell’avanguardia.
È stato un songwriter cupo e malinconico, Tim Buckley: le sue composizioni non avevano la classica sequenza strofa-ritornello-strofa, erano (e sono ancor oggi) affreschi a tinte tenui che parlano di amore, di depressione, di sogni ad occhi aperti.
Timido e riservato, aveva attorno a sé pochi amici, un figlio mai visto, una compagna. Ed una casetta a Santa Monica, dove morì nel sonno nell’estate del 1975, causa un’overdose.
Dei dischi citati come imperdibili, ce n’è uno che viene considerato il suo capolavoro assoluto: uscito nel 1970, Starsailor è l’album visionario di un ragazzo di 23 anni che ha affinato in poco tempo una tecnica compositiva eccezionale ed un canto paradisiaco, non paragonabile ad alcuno.
Il Viaggiatore Delle Stelle parlava del cosmo a lui tanto caro in un 33 giri pensato ed inciso nell’arco di un mese, preceduto per poche settimane da Lorca e Happy Sad, tutti pubblicati nel 1970!
L’abuso di droga e la depressione conseguenti ad una mancanza assoluta di feeling tra l’autore, i suoi discografici ed il pubblico (che stentò a riconoscere il menestrello tanto amato di Blue Afternoon in quel libero sperimentatore che era diventato con Starsailor) lo portarono ad incidere in seguito due album considerati terrificanti, Greetings From L.A. e Look At The Fool. Soul music con coretti e ammiccamenti erotici, fu la critica maggiore, una cosa impensabile per i suoi fan fino a poco tempo prima.
Rimane di lui il volto da bambino eterno, la sua voce celestiale, qualche album dal vivo uscito dopo la sua morte (su tutti, Dream Letter e Live At The Troubadour, bellissimi) e una manciata di canzoni da isola deserta.
Nelle stelle, per sempre Tim Buckley
Le 5 canzoni manifesto
1) Song to the siren: è il capolavoro di Tim Buckley contenuto nel suo storico album Starsailor del 1970. L’ispirazione del brano deriva ovviamente dal mito delle sirene, esseri metà donna e metà pesce, in grado d’incantare gli uomini e portarli alla perdizione. L’interpretazione straordinaria di Tim Buckley, che ha stravolto con questo album il concetto stesso di canto, riesce a rendere in maniera unica il conflitto tra l’incanto e la perdizione andando quasi a sdoppiarsi nell’interpretazione.
2) Phantasmagoria in two: è una canzone pubblicata come ultimo singolo dal suo secondo album in studio, Goodbye and Hello. Il brano è immerso in sequenze di chitarra e piano intrecciate con un mood ossessivamente psichedelico su cui la sua voce modula il suo lirismo malinconico. È una testimonianza fondamentale del suo songwrithing.
Tim Buckley – Phantasmagoria In Two
3) Once i was: è tratta da Goodbye And Hello ed ha la forza delle canzoni folk più intense: dirette e potenti, capaci di scaldare il cuore più cinico. Il protagonista di questa canzone è stato di volta in volta soldato in guerra, cacciatore, amante, tutto per la donna che ama. E quando la loro storia finisce si ritrova travolto dai ricordi di quando i giorni dei sorrisi erano fatti di silenzi e sguardi carichi di desiderio.
4) Chase the blue away: brano contenuto in Blue Afternoon, 1969, in cui gli strumenti acustici, col loro suono caldo, avvolgente, ma con una presenza appena accennata, accompagnano la voce di Tim proiettandola verso l’assoluto.
5) Blue melody: immaginatela suonata in un locale blues/jazz, eseguita in solitaria su di uno sgabello mentre nuvole di fumo avvolgono Tim e il suo strumento, schermandolo ed isolandolo dal pubblico, quasi a voler sottolineare la sua singolarità, la sua eccezionalità.
Tim buckley – Blue melody
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