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Lou Reed, ebreo di origine russo-polacca, nel corso degli anni modificò notevolmente la sua visione della questione palestinese, influenzato inizialmente dalle proprie origini e da quella scena punk newyorkese a sua volta caratterizzata dalla radice ebraica di molti appartenenti: da Joey Ramone a Richard Hell.
Il piano Lou Reed per la Palestina
“Ma spetta poi a noi continuare a fare i poliziotti del mondo? Lasceremo fare agli israeliani? Dovremmo prendere Israele e trasferirlo nello Utah: adesso basta, ragazzi, fuori da qui. Insomma: è terribile quello che succede con i palestinesi. Ebreo di origine russo-polacca. Mi considero democratico senza confini.”
Da una bella intervista del 2012 per il suo settantesimo compleanno. Lou Reed morì l’anno successivo, il 27 Ottobre 2013.
I giornali israeliani e conservatori americani ne rivendicarono l’ebraicità come se di per sé dovesse equivalere a sostegno del sionismo e di Israele.
Tom Gross scrisse un articolo “La posizione di Lou Reed per Israele e contro l’antisemitismo” in cui si citava la canzone del 1989 contro l’ex-nazista Kurt Waldeim in cui Lou criticava anche il leader afroamericano di sinistra Jesse Jackson per il suo sostegno all’OLP.
La canzone del 1989, “Good Evening Mr. Waldheim”, certamente mostrava che l’ebreo newyorkese Lou Reed, che aveva parenti in Israele, all’epoca aveva una posizione critica verso l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina di Arafat che veniva presentata dai media USA come un gruppo terroristico.
L’intervista del 2012 dimostra però che il vecchio Lou aveva maturato una posizione su Israele – e sulla politica estera degli Stati Uniti – assai più critica. D’altronde Lou Reed aveva posizioni molto di sinistra e nella stessa intervista non aveva nascosto le sue critiche al moderatismo di Obama e la sua simpatia per il movimento Occupy Wall Street.
L’intervista del 2012 stride notevolmente con le parole del critico musicale Saul Austerlitz che arrivò ad accostare Lou e altri protagonisti della scena punk newyorkese di origine ebraiche all’esercito israeliano recensendo il libro di Steven Lee Beeber “The Heebie-Jeebies at CBGB’s”: “Il nuovo ebreo punk è stato ispirato in egual misura dai guerrieri delle Forze di difesa israeliane, dai supereroi dei fumetti sceneggiati da una precedente generazione di artisti ebrei e da un’istintiva repulsione per gli eccessi musicali dei contemporanei”.
Certo è che erano ebrei tanti protagonisti della prima ondata di punk di New York. Lou Reed che ne fu il mentore, Joey e Tommy Ramone, Martin Rev e Alan Vega dei Suicide, Jonathan Richman, il chitarrista del Patti Smith Group Lenny Kaye, Richard Hell dei Voidoids, Chris Stein dei Blondie, il fondatore del CBGB Hilly Kristal.
Ma questo vale per quasi tutti i movimenti progressisti nella storia degli Stati Uniti. Gli ebrei furono protagonisti dei movimenti socialisti, anarchici e comunisti, della beat generation, della scena folk e rock e di tutti fenomeni culturali più avanzati.
In una canzone dedicata al suo maestro di scrittura creativa, il poeta e scrittore Delmore Schwartz, Lou lo definisce “ebreo errante”. Nel rivendicare la sua identità di ebreo russo polacco – discendente delle generazioni che fuggirono dall’antisemitismo della Russia zarista – Lou Reed nell’intervista del 2012 si definisce un “democratico senza confini”.
Non so se Lou avesse letto il classico di Isaac Deutscher “L’ebreo non ebreo” ma certo si ricollegava al “patrimonio morale e politico che il genio degli ebrei che sono andati oltre l’ebraismo ci ha lasciato: il messaggio dell’emancipazione umana universale.”
Proprio nella sua New York nel 1948 i socialisti ebrei del Bund nel 1948 scrivevano:
“I socialisti ebrei non hanno mai condiviso l’opinione dei sionisti secondo cui uno stato indipendente in Palestina avrebbe risolto il problema ebraico. Né la condividiamo oggi, dopo che tale stato è stato istituito. Abbiamo sempre creduto che l’unica soluzione per gli ebrei, così come per l’umanità in generale, sia la ricostruzione del mondo su una base socialista e democratica. La nostra convinzione rimane incrollabile anche ora, quando i sionisti hanno raggiunto, almeno temporaneamente, il loro obiettivo.
Per mezzo secolo il movimento BUND ha cercato di conquistare la popolazione operaia ebraica per la lotta internazionale per il socialismo. I socialisti non ebrei, piuttosto che i nazionalisti ebrei, sono stati per mezzo secolo i nostri più stretti alleati. L’istituzione di uno stato ebraico in Palestina non ci riconcilia con il nazionalismo ebraico e non può cambiare il nostro atteggiamento tradizionale. Apparteniamo al campo socialista internazionale e vi rimarremo.
Ma prima di tutto e soprattutto è nostro dovere, in quanto socialisti ebrei, fedeli alla nostra tradizione socialista e alla nostra eredità socialista, fare del nostro meglio per fermare la guerra che sta devastando la Palestina. Bisogna porre fine immediatamente a questa sanguinosa guerra. Solo gli elementi nazionalisti in entrambi i campi, sia quello arabo che quello ebraico, sono inebriati dall’odio verso il cosiddetto nemico.
La popolazione ebraica, così come gli arabi, non devono sacrificare la propria vita sul sacrario del nazionalismo. Gli ebrei, così come gli arabi, hanno bisogno di relazioni pacifiche basate sull’uguaglianza, sul rispetto reciproco per le legittime aspirazioni di entrambe le nazionalità della Palestina. Una Palestina indipendente, uno stato comune degli arabi e degli ebrei che possa garantire a entrambe le nazioni la più ampia autonomia per il loro ulteriore sviluppo nazionale e culturale e unirle per il benessere di tutti gli abitanti della terra, questo è il vero obiettivo a cui tendere.”
Il tentativo di imporre una nuova definizione di antisemitismo che include la critica del sionismo e/o dei crimini dello Stato di Israele contrasta proprio con questa grande tradizione di cui fanno parte Spinoza, Karl Marx, Rosa Luxemburg, Sigmund Freud, Victor Serge, Emma Goldmann, Isaac Deutscher, Herbert Marcuse, Erich Fromm, Albert Einstein, Allen Ginsberg, Abbie Hoffman, Bob Dylan, Noam Chomsky, e tante altre/i fino a Lou Reed e oggi Jewish Voice for Peace.
Nel 2011 Lou Reed aveva realizzato un documentario Red Shirley – Shirley la rossa dedicato alla sua cugina Shirley Novick, che dopo aver vissuto la prima guerra mondiale, fuggì dalla Polonia prima della seconda guerra mondiale e poi fu una militante sindacale negli States partecipando alla storica marcia di Washington del movimento per i diritti civili (che in realtà erano anche sociali) con Martin Luther King nel 1963. Lou dichiarò che ci teneva a salvare quella storia dalla dimenticanza.
Questo è il trailer: peccato che Rai Storia non abbia comprato e trasmesso questo film).
Forse era stata la centenaria Shirley la rossa a ispirare quell’intervista del cugino Lou.
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