Se c’è qualcosa che divide e fa discutere più del green pass, quello è il cinema di Paolo Sorrentino: “È stata la mano di Dio“, non è da meno.
È stata la mano di Dio, lo specchio di io
Strano che nessuno abbia ancora detto che “È stata la mano di Dio” è un film di Pupi Avati. Si è parlato di omaggio a Fellini o a Capuano che è addirittura uno dei personaggi, ma a me ha ricordato Pupi Avati.
Però Pupi Avati e più bravo a fare Pupi Avati, così come De Luca è più bravo a fare De Luca – fa più ridere – che non Crozza quando imita De Luca.
Non che il film di Sorrentino sia brutto, al contrario, a me è piaciuto molto, ma continuo ad avere la sensazione che sia di qualcun altro. E ciò nonostante sia presente un nucleo narrativo forte, la voglia o, come si usa dire adesso, l’urgenza di raccontare una storia che cerca di farsi voce dal profondo, non eco d’infinite altre storie che rimbalzano come sulla superficie di uno specchio, uno dei tanti di cui sono piene le sue pellicole.
Sarebbe bello, invece, se su quei riflessi prima o poi il regista napoletano sostasse, per scoprire finalmente il suo volto che non è quello di Narciso, ma di Proteo.
E chissà che lo specchio smetta di ripetergli che è il più fico del reame, glielo dicono già tutti e glielo dico anch’io, ma fosse uno specchio magico, una porta attraverso cui si viene introdotti alla radice psichica finalmente toccata da questo film, a mostrarci come il continuo desiderio di approvazione coincide con l’unica approvazione mai davvero arrivata: quella di un padre (nel caso morto prematuramente, ma l’assenza morale non è meno devastante di quella fisica) che ti dica va bene, non ostinarti a cercare di essere ogni volta il più bravo della classe, va bene così, mi vai bene e soprattutto ti voglio bene.
A quel punto, Paolo Sorrentino e non uno che gli somiglia, o a cui lui cerca ostinatamente di somigliare, potrà girare il suo primo “vero” film.
Di cui questo rappresenta solo un prologo, il trailer carico di promettenti aspettative. Dai che ci siamo quasi!

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