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Valeriy Lobanovskyi è una figura iconica nel panorama calcistico mondiale, noto non solo per i suoi trionfi sportivi ma anche per la sua visione innovativa e scientifica del calcio. Nato a Kiev nel 1939, si distinse inizialmente come calciatore di talento, ma il suo impatto più profondo si è avuto nella carriera da allenatore, dove ha rivoluzionato il modo di intendere il gioco.
Valeriy Lobanovskyi, il ‘colonnello’
Nato in Ucraina nel 1939, Lobanovskyi – oltre che per lo sport – mostrò fin da giovane un’inclinazione verso l’analisi e la scienza. Laureatosi in ingegneria meccanica, applicò il suo pensiero analitico non solo agli studi, ma anche alla sua carriera calcistica.
Nonostante il fisico possente, giocava come ala, distinguendosi per tecnica e creatività. Già da calciatore, era affascinato dall’armonia dei movimenti e dalla tattica, una passione che avrebbe definito la sua futura carriera da allenatore.
Dopo aver appeso le scarpe al chiodo a soli 29 anni, Lobanovskyi iniziò il suo percorso come tecnico, portando con sé il rigore scientifico e il desiderio di innovare.
In un periodo in cui il progresso tecnologico stava cambiando il volto dell’Unione Sovietica, egli si fece pioniere dell’applicazione della scienza al calcio, collaborando con Anatoly Zelentsov, scienziato dell’Istituto di Scienze Fisiche di Dnipropetrovsk, che arrivò a una conclusione semplice ma non scontata all’epoca e che mise un punto nella storia del calcio: allenarsi cinquanta minuti spesso è più utile che fare una sessione lunga due ore.
Un innovatore del calcio
Lobanovskyi era il classico ucraino dell’epoca, gelido in volto e non il massimo della simpatia, non a caso il soprannome era ‘Colonnello‘, andando anche oltre il grado che effettivamente raggiunse come inquadramento nella ex Armata Rossa. Ma era anche un visionario che utilizzò il suo background in ingegneria per applicare un approccio scientifico al calcio. Dopo aver studiato all’Istituto Politecnico di Kiev, introdusse metodologie basate sull’analisi dei dati e l’uso dei computer, una novità assoluta per il calcio dell’epoca.
Fu tra i primi a esaminare le prestazioni dei giocatori attraverso parametri quantitativi e a sviluppare tattiche specifiche basate su questi dati. Il suo approccio analitico e metodico è considerato precursore dell’odierna “analisi delle prestazioni”, oggi centrale in molti club di alto livello
Nel 1973 Simon Cooper, uno scrittore appassionato di sport riuscì ad intervistarlo. Cooper venne portato in una stanza dove c’erano nove cubi, e su questi venivano proiettate le partite della Dinamo.
Lo strumento consentiva di analizzare con precisione chi e con quale frequenza percorreva determinate aree del campo, quanto tempo i giocatori trascorrevano con o senza palla e persino la loro compatibilità reciproca. Con margini di errore ridottissimi, a ogni calciatore veniva assegnato un livello, calcolato fino al terzo decimale. Era l’alba della match analysis.
Alla guida del Dinamo Kiev, Lobanovskyi non si limitò a vincere titoli: trasformò il modo in cui il calcio era giocato. La sua visione era basata su un concetto sistemico, in cui la squadra era un organismo composto da elementi interdipendenti. Credeva che il successo dipendesse da un equilibrio perfetto tra difesa e attacco, con giocatori capaci di ricoprire ruoli fluidi.
Ogni atleta doveva integrarsi nel sistema senza che le individualità prevalessero sul collettivo. Questo si rifletteva in uno stile di gioco aggressivo, rapido e disciplinato, che fece della Dinamo Kiev una delle squadre più temibili d’Europa negli anni ’70 e ’80.
Sotto la sua guida, il club raggiunse vette mai viste prima: due vittorie in Coppa delle Coppe (1975 e 1986), nove campionati sovietici e sei Coppe dell’Unione Sovietica. Nel 1975, il club vinse anche la Supercoppa Europea, un’impresa che consolidò la reputazione di Lobanovskyi a livello internazionale. Parallelamente, fu anche alla guida della Nazionale sovietica, portandola alla medaglia d’oro alle Olimpiadi del 1988 e a un secondo posto nel Campionato Europeo dello stesso anno.
L’eredità di Lobanovskyi va oltre i trofei e i titoli: ha gettato le basi per il calcio moderno, ponendo enfasi sulla preparazione fisica, l’analisi dei dati e il lavoro collettivo.
La sua influenza è evidente nei metodi utilizzati da allenatori come José Mourinho e Rafael Benítez nei loro anni d’oro. Dopo la sua morte nel 2002, la sua figura è stata celebrata in tutto il mondo del calcio: l’ex stella Andriy Shevchenko, uno dei suoi protetti, rese un tributo speciale, posando la medaglia della Champions League del 2003 sulla tomba del leggendario tecnico
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