Mou, che per sua stessa ammissione “non è un pirla”, è uno che non parla mai a vanvera. E infatti puntualmente si sono verificate tutte le sue preoccupazioni nel match contro Inzaghi.
Mourinho non è un pirla. E nemmeno Inzaghi
Aveva tutte le ragioni il buon Mourinho, durante la presentazione del match Roma-Inter a lamentarsi delle difficoltà che avrebbe affrontato nel decidere che formazione avrebbe opposto all’Inter viste le tante defezioni.
Quel qualcuno, che con superficialità o per candore lo ha tacciato come “piangina” (non esiste in questi casi un reato di lesa maestà?) ne ha fatto una valutazione oziosamente sbagliata: Mou, che per sua stessa ammissione “non è un pirla”, è uno che non parla mai a vanvera. Ogni sua dichiarazione resa alla stampa ha sempre uno scopo, un disegno, una strategia. In questo caso persino più di uno.
Il suo non è stato uno sfogo ma piuttosto una vera e propria chiamata alle armi per i suoi uomini. Il retropensiero invece rivolto ai tifosi era quello – più banale – di non aspettarsi troppo da quella gara, date le contingenze.
Impossibile dargli torto: con i ceppi messi alle ruote della società Roma A.S. dal settlement agreemen dalla UEFA, fare più di quello che sta facendo oggi la squadra (semifinale di Europa League e quinto posto in classifica) non era oggettivamente possibile.
Se il messaggio è stato recepito dalla tifoseria è al momento impossibile stabilirlo. Se la società ha raccolto il suo suggerimento di escogitare un programma valido per rimanere in quei certi paletti senza dover essere obbligata ad abdicare dai posti di prestigio in serie A, pure.
Quel che è certo è che i ragazzi a sua disposizione quel messaggio l’hanno fatto abbondantemente proprio, visto come sono scesi sul rettangolo verde, pompati a diecimila bar, con il coltello serrato tra i denti. Insomma il mai troppo rimpianto tecnico portoghese avrà pensato che dove non arriva la tecnica arriva l’ardore. Ha deciso di metterla in “caciara” per capirci. E per rimanere nel gergo locale.
Purtroppo per lui, la frenesia messa in campo dai suoi ragazzi si è rapidamente trasformata in nevrastenia, con quelli troppo occupati a provare ad intimorire avversari ed arbitro per avere poi la lucidità utile a portare pericoli dalle parti di Onana.
Quei trenta minuti di furore agonistico impressi dai romanisti alla gara hanno prodotto la miseria di una sola occasione, con un tiro di Pellegrini schiaffeggiato da Onana oltre la traversa, dopo di che quel furore si è man mano inesorabilmente affievolito. Puoi occupare la scacchiera quanto ti pare, ma se poi esci contemporaneamente con cavalli, torri ed alfieri stai pur certo che andrai incontro alla debacle.
Inzaghi durante quei fatidici trenta minuti non ha certo invocato l’arrocco, ma ha lasciato sapientemente che i pezzi pregiati degli avversari si infrangessero sui suoi pedoni, aspettando la mossa sbagliata dell’avversario. È stato un Brozovic tornato il tuttocampista sfavillante dello scorso anno ad imbroccare l’apertura giusta, mirando alle spalle di Spinazzola il quale non si è avvisto dell’alfiere che lo trapassava da parte a parte.
Il Dumfries ha potuto distendere la sua falcata da quattrocentista indisturbato e poi, una volta raggiunto il fondo non ha – per una volta – sbagliato il traversone. Anzi, forse proprio perché lo ha sbagliato pure stavolta (sospetto che quell’assist fosse destinato a Romelu), quel tracciante ha tagliato fuori tutta la difesa romanista fino a raggiungere l’inaspettatamente solo Dimarco.
Nessuno si è poi preso la briga di intervistare l’olandese: tempo perso, significherebbe cavillare su sterili questioni. La Roma ha avuto il merito di non cambiare atteggiamento, ma dato il parziale forse è stato anche un demerito.
C’era da mangiar pane duro senza aver l’adatta dentatura: d’accordo che Abraham e Dybala non erano al meglio, ma non era il caso di rischiarli da subito, vista la tanta benzina che la squadra ha messo in campo dal primo minuto? E in effetti, quando gli unici due veramente capaci di cambiare il volto della partita vengono mandati a far il loro mestiere, è già troppo tardi: l’argentino ha avuto il tempo di toccare giusto un paio di palloni quando Ibanez opta per l’Harakiri, consegnando la katana a Lautaro che poi ha lasciato l’incombenza all’amico Lukaku di finire l’avversario.
Abraham entra ancora più tardi a prendere il posto di un irresoluto Belotti, frenetico quanto inconcludente: si rivelerà inconcludente esattamente quanto il suo predecessore. Finisce 0-2, che significa quarta vittoria consecutiva, avvicinamento alla Lazio che adesso è ad un solo punto di distanza avendo perso con il Milan e aumento del distacco dall’Atalanta, sconfitta in casa dalla Juventus.
Giochi conclusi? Neanche per sogno, visti i calendari decisamente favorevoli delle due romane che in teoria potrebbero fare bottino pieno. Milan e Juve invece si scontreranno alla penultima, con i torinesi che giocheranno in casa e che, dato il distacco che insiste ad oggi, potranno contare su due risultati su tre. Devo dirlo? Lo dico: il più complicato è proprio quello dell’Inter, attesa in casa dal Napoli già campione alla terzultima giornata e che ospiterà l’Atalanta alla penultima: se si potrà contare su di un Napoli già appagato, per la partita contro i bergamaschi conterà la loro situazione in classifica, se saranno ancora in gioco per un piazzamento utile o già fuori dallo stesso.
All’ultima invece andrà a Torino a giocarsela contro un Toro che non ha più velleità particolari, e si presume sarà già in vacanza. Sto colpevolmente tacendo del prossimo turno in cui si ospiterà un Sassuolo che spesso ci si è rivelato indigesto. Va da sé che la qualità degli esiti passeranno dalle fasi umorali della nostra, da quali tipo di risultati arriveranno dagli impegni europei e anche – perché no? – dall’esito della finale di Coppa Italia contro la Fiorentina che cadrà tra le sfida tra Napoli e Atalanta.
Non si fa in tempo a perderci il sonno: per quello ci penserà già la partita Milan-Inter di mercoledì prossimo…
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