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Siria in frantumi: tribù e fazioni all’assalto, è già caos

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La Siria, dopo la rivolta guidata dall’esterno che in pochi giorni ha spazzato via il regime di Bashar al-Assad, è sprofondata in un caos che ricorda da vicino la Libia post-Gheddafi. I primi segnali di scontri tribali emergono nella regione di Tartus, dove i jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), vincitori della rivoluzione, hanno avviato violenti attacchi contro la minoranza alawita, fedelissima del vecchio regime.

La Siria divisa in tribù armate

La rivolta ha lasciato il paese frammentato lungo linee etniche e religiose. Gli alawiti, una minoranza sciita che rappresenta tra il 13 e il 15% della popolazione, erano i pilastri del potere degli Assad.

Ora, sotto la pressione di HTS, affrontano persecuzioni sistematiche. I jihadisti hanno imposto il coprifuoco e colpito le comunità alawite nelle zone di Tartus, Latakia e Homs, causando tensioni che hanno già fatto decine di morti.

Ma il problema non si limita alla sola rivalità tra HTS e gli alawiti. La Siria è un mosaico etnico-religioso che comprende sunniti, cristiani, curdi e altre minoranze, ognuna delle quali tenta di difendere il proprio spazio, spesso con le armi. Lo scenario è quello di una guerra frammentata, senza un nemico comune e con poche possibilità di una pacificazione a breve termine.

HTS: potere limitato e promesse vuote

Nonostante il controllo di Damasco e altre grandi città, HTS non ha la forza per dominare l’intero paese. Le promesse di tolleranza del leader al-Julani appaiono vuote, soprattutto per i cristiani siriani che rimangono nel paese. Video come quello di un albero di Natale dato alle fiamme dai miliziani jihadisti alimentano la paura di una recrudescenza del fondamentalismo.

Prima della guerra civile, i cristiani rappresentavano circa il 10% della popolazione e godevano di una relativa libertà religiosa sotto il regime di Assad. Oggi, questa minoranza sopravvive tra incertezze e un clima di ostilità crescente.

Le potenze straniere giocano un ruolo chiave nel caos siriano. Stati Uniti, Turchia, Israele e Russia perseguono i propri interessi, sfruttando il vuoto di potere. Il nord-est ricco di petrolio, che HTS non controlla, è teatro di scontri tra gruppi curdi e milizie sostenute dalla Turchia.

Nel sud-ovest, Israele si è impossessato della zona cuscinetto nel Golan, violando gli accordi del 1974. La partita, più che ideologica, è economica: il controllo delle risorse è la vera posta in gioco.

Il Wall Street Journal descrive la Siria come un terreno fertile per un nuovo ciclo di conflitti. Con la caduta del regime di Assad, si è persa la figura che, nel bene o nel male, teneva insieme il paese. Ora, fazioni ribelli armate, tribù, e potenze straniere si contendono il controllo di un territorio devastato da oltre un decennio di guerra civile.

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