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Cinque giorni di lutto nazionale per Papa Francesco come spettacolo di facciata: dolore finto, propaganda reale. Salta il 25 aprile, ma resta la retorica vuota. Dimenticato l’impegno politico, celebrato solo il folclore. Un lutto esemplare, non umano.
L’ossessione per l’esempio: il lutto nazionale
I cinque giorni di lutto nazionale per la morte di Papa Francesco non richiamano un reale cordoglio, ma la sua rappresentazione artefatta e spettacolarizzata. Anche il lutto viene utilizzato per prove di forza muscolari, per accattivare il pubblico tramite i sotterfugi persuasivi del marketing: mettere in scena la venerazione postuma, questo l’imperativo categorico della propaganda.
Il dolore e la perdita non si devono riconoscere in alcuna proiezione intima; l’afflizione scade in misura esemplare, protocollare. Il provvedimento burocratico è contraddistinto da un’enfasi barocca tale da scadere nel ridicolo.
Occorre dimostrare al mondo più realismo del Re in una rincorsa senza meta alla contromisura più edificante. Saltano turni di campionato come mosche, perché si deve apparire assolutamente costernati e contriti, e salteranno le celebrazioni del 25 aprile: col sospiro di sollievo dell’intero arco parlamentare.
Tutto per commemorare un pontefice del quale, da oggi in poi, verranno ricordate solo le gesta folkloristiche; saltando a piè pari il suo impegno politico. Francesco diventerà un santino inanimato così da sconfessare, in un lampo, la poetica alla base del suo officiare.
Quindi nella maestosità ordinata del cerimoniale, nelle lunghe maratone televisive in sua memoria, nell’adunata militarizzata delle celebrità, le sue parole per la pace, per gli ultimi, per un nuovo equilibrio multipolare basato sulla reciprocità, saranno scientificamente omesse per far spazio alla lacrimevole retorica del pettegolezzo giornalistico e all’ipocrisia compita del dolore di circostanza.
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