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La costruzione del socialismo non è elemosina di Stato

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Il socialismo è la costruzione pianificata (e quindi graduale, in discussione è la velocità e l’aggressività del processo) di un momento sociale senza povertà e diseguaglianza.

La costruzione del socialismo

La costruzione del socialismo non è la costruzione di un sistema statale di elemosine ed elargizioni. Nessun buon socialista/comunisti sosterebbe una cosa simile; il socialismo non è condivisione della miseria, ma sistematica elevazioni delle condizioni di vita delle masse.

Scopo del comunismo non è sanare l’ingiustizia sociale donando il proprio denaro ai poveri, questo non farebbe altro che porre se stessi nella condizione di povertà e non cambierebbe il regime strutturale, cioè il dato che prevede l’esistenza dei poveri.

Il socialismo è la costruzione pianificata (e quindi graduale, in discussione è la velocità e l’aggressività del processo) di un momento sociale senza povertà e diseguaglianza.

Quindi, non si risolve il problema della povertà donando denaro o coltivando la carità, con una generica filantropia o richiamandosi a generici temi etici, al contrario si persegue il miglioramento della condizione umana appellandosi a una gestione razionale delle risorse.

Si supera il capitalismo, non perché questo sia immorale (questo sarebbe un retaggio religioso), ma perchè questo a un certo punto diventa non più conveniente.

A partire dagli anni settanta, il modello capitalista keynesiano che era diventato dominante dopo il 1929 e ancor di più dopo il 1945, entra in crisi. Le due maggiori centrali di accumulo mondiale (New York e Londra) e quindi i rispetti centri egemonici in termini strutturali (politici, militari, culturali) cioè gli USA e il Regno Unito, passano dopo un decennio di arretramento (seconda decolonizzazione, estensione del socialismo nel Terzo Mondo, rivolta islamica in Iran, shock petrolifero), al neoliberismo e al totale svincolamento dei mercati dagli Stati.

I capitali liberi di spostarsi (e facilitati in questo dall’evoluzione tecnologica a partire dagli anni ottanta) procedono per ondate dal centro alla periferia, portando ogni volta verso il centro la ricchezza reale prodotta dal mondo reale a gonfiare le nuove bolle speculative.

Questo gioco a un certo punto smette di funzionare, semplicemnete il meccanismo si intoppa. Il drenaggio di competenze e la competitività del Sud del mondo permettono a questo di avviare un processo di accumulazione tale da permetter l’emersione di centri regionali alternativi e questi facendo rete, riescono a superare le crisi del capitalismo.

Questo policentrismo può portare molte traiettorie possibili: lo sviluppo tecnico, la questione demografica, quella alimentare ed ecologica, pongono il mondo in una condizione nuova, ancora da interpretare e delineare (o forse non più riconducibile in un unico discorso).

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Gabriele Germani
Gabriele Germani
Roma, 1986. Laureato in Storia contemporanea e Psicologia, con Master in Geopolitica. Lavora nell’ambito pedagogico-educativo. Si occupa da anni dei rapporti tra il Sud e il Nord del mondo, con le lenti del neo-marxismo, della teoria della dipendenza, del sistema-mondo e dell’Eurasia. Con questa prospettiva ha pubblicato negli anni, alcuni libri e articoli di storia e antropologia, in particolare sull’America Latina. Riferimenti bibliografici: Uruguay e emigrazione italiana: sogni, speranze e rivoluzioni di Gabriele Germani (Autore), Anthology Digital Publishing, 2022. Ha inoltre in pubblicazione con Kulturjam Edizioni: una raccolta di riflessioni su BRICS e mondo multipolare, con introduzione di Gianfranco La Grassa e con Mario Pascale Editore un testo sulla politica estera italiana durante la II Repubblica. Cura un micro-blog sul suo profilo Facebook (a nome “Gabriele Germani”) e un Canale Telegram sempre a nome “Gabriele Germani” (t.me/gabgerma). Dirige inoltre il Podcast “La grande imboscata” su attualità, geopolitica e cultura su varie piattaforme.

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