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Israele ha sottovalutato la capacità di resistenza di Hamas

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Nonostante quindici mesi di conflitto devastante con Israele, che hanno causato enormi perdite umane e materiali, e che hanno portato alla fragile tregua in corso, Hamas ha dimostrato una straordinaria resilienza e capacità organizzativa, mantenendo un ruolo centrale nella Striscia di Gaza.

La capacità di resistenza di Hamas

Secondo fonti d’intelligence statunitensi riportate da Reuters, il gruppo avrebbe reclutato fino a 15.000 nuovi combattenti dall’inizio della guerra, compensando così le perdite subite. Parallelamente, l’apparato civile di Hamas continua a operare: i suoi amministratori coordinano la rimozione delle macerie, supervisionano i convogli di aiuti e lavorano per ripristinare, almeno in parte, servizi essenziali come l’acqua e la sicurezza.

Come riferito dal portavoce Ismail Al-Thawabta, circa 700 poliziotti sono impegnati a proteggere i convogli umanitari, garantendo ordine in un territorio profondamente devastato.

Nonostante l’eliminazione di leader importanti come Yahya Sinwar e la probabile morte di Mohammed Deif, Hamas è riuscito a riorganizzarsi, trovando in Mohammed Sinwar una guida capace di rafforzare le forze e il controllo locale.

Parallelamente, l’apparato civile di Hamas continua a operare per garantire servizi essenziali alla popolazione, come acqua, sicurezza e gestione degli aiuti umanitari, nonostante le difficoltà create dalla distruzione massiccia.

Le proposte di Israele e Stati Uniti di escludere Hamas e riportare l’Autorità Nazionale Palestinese a Gaza appaiono completamente irrealistiche. La popolazione palestinese, che percepisce il costo umano e materiale del conflitto come un sacrificio per la propria dignità e resistenza, continua a sostenere Hamas come simbolo della lotta per l’autodeterminazione.

L’ANP, al contrario, è vista come debole e priva di legittimità popolare nella Striscia. Oltre che macchiata dalle accuse di collusione col governo israeliano per la repressione dei campi profughi in Cisgiordania.

In questo contesto di isolamento, oppressione e devastazione, Hamas continua a rappresentare una guida per milioni di palestinesi, mentre la comunità internazionale, incapace di proporre una soluzione equa e sostenibile, lascia Gaza in una situazione di crisi umanitaria senza precedenti.

La strategia israeliana del “decapitare il serpente” ha segnato la storia di Hamas almeno negli ultimi trent’anni. La serie di omicidi mirati ha colpito sia l’ala militare sia quella politica, sia i radicali sia i pragmatici. Nonostante ciò, Hamas è riuscita a mantenere la propria struttura organizzativa e a continuare le proprie operazioni sia militari che civili.

Ciò che è filtrato in questi mesi dalla realtà dei combattimenti – fra imboscate complesse, notizie di potenziali crimini di guerra e ostaggi che l’IDF ha ucciso per errore – sembra corroborare l’ipotesi di una resistenza militare ampiamente sottovalutata, e che ha dato àì prova di capacità tattiche avanzate.

A conferma di ciò il fatto che Israele non ha mai comunicato nessun numero sulle proprie perdite. non c’è alcuna cifra attendibile.

La bomba demografica

Per Israele, il tema di svuotare Gaza o la Cisgiordania non riguarda solo l’urgenza del presente, ma anche una questione strategica a lungo termine, legata alla demografia. L’esplosione demografica dei paesi vicini è inevitabile, e la domanda è: come riuscirà Tel Aviv a mantenere una società così militarizzata?

Israele conta circa 10 milioni di abitanti, con circa 2 milioni di arabo-israeliani (musulmani, cristiani e drusi). Nonostante una popolazione giovane, una continua immigrazione (soprattutto dall’ex blocco sovietico), un tasso di natalità elevato e politiche favorevoli alla procreazione assistita, Israele non riesce a stare al passo con i tassi di crescita dei suoi vicini.

Nel 1980, l’Egitto aveva poco più di 40 milioni di abitanti, oggi sono 110 milioni; la Giordania aveva poco più di 2 milioni, oggi ne conta oltre 10; il Libano era a circa 3 milioni, oggi sono circa 5,5 milioni; la Siria, che nel 1980 aveva circa 10 milioni di abitanti, oggi ha oltre 20 milioni. I palestinesi, che erano circa 3 milioni nel 2000, sono oggi più di 5 milioni. Quindi, la questione di svuotare Gaza o la Cisgiordania non è solo attuale, ma anche profondamente legata agli equilibri futuri di Israele.

Un altro interrogativo riguarda la sostenibilità di una società così militarizzata. La crescita demografica in Israele è in gran parte alimentata dagli ultraortodossi, che in molti casi sono anti-sionisti, esonerati dal servizio militare e contribuiscono poco all’economia. Inoltre, l’afflusso di immigrati russofoni sta aumentando, un gruppo che tende a concentrarsi tra gli ultraortodossi e le fasce a basso reddito, creando ulteriori difficoltà di integrazione.

Infine, c’è il tema delle aziende tecnologiche. Israele è stato spesso presentato come la patria delle tecnologie, sia civili che militari. Tuttavia, il sistema di difesa antimissile israeliano non ha impedito gli attacchi di Hamas, rivelando che, nonostante l’enfasi sulla sua efficacia, la deterrenza psicologica si basava su una tecnologia che, in effetti, non ha funzionato come sperato.

 

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